Io sono Africano
Uso lo slogan di Parigi 2015 per ricordare, alla luce del recente dramma del Mediterraneo, che non dobbiamo mai dimenticarci che siamo tutti africani, dal momento che il genere umano è nato nel continente africano. Lo stabilisce senza ombra di dubbi la Genetica, mostrando come 4,4 milioni di anni fa in Africa vivessero i primi ominidi Australopitechi, bipedi come noi, e come le scimmie in grado di muoversi agevolmente sugli alberi, anche se capaci meglio di esse di camminare eretti. Sempre la Genetica dimostra che l’Homo Erectus (non ancora la nostra specie Sapiens) lasciò il continente africano 1.700.000 anni fa per dirigersi verso Oriente. Hanno oltre un milione di anni i primi resti umani in Cina e 1,7 milioni quelli rinvenuti nell’isola di Giava; mentre le migrazioni dell’Homo Sapiens sono “recenti”: 70.000 anni fa verso Oriente, 50.000 in Europa, 35.000 in America del Nord, 9.000 in America del Sud.
Sempre lo studio dei geni ha recentemente rilevato che, se oggi viviamo di agricoltura e non solo di caccia e pesca, lo dobbiamo ai mediorientali i quali, 9.000 anni fa nel Neolitico, dall’attuale Turchia via mare approdarono in Grecia e nell’Italia meridionale portando le nuove conoscenze di quel sistema per far crescere le piante di cui cibarsi, ben noto dalle loro parti ormai da 3.000 anni.
Il giovane papà di Lucy
A confermare ulteriormente le origini africane dell’Uomo è il paleantropologo americano Donald Johanson, che quarant’anni fa in Etiopia scoprì lo scheletro di Lucy, a lungo rimasta la testimonianza più antica di uomo vissuto sulla Terra. Johanson, professore alla School of Human Evolution Origins Arizona University, il 21 aprile 2015 è stato ospite del Centro Studi e Ricerche Ligabue e dell’Università Ca’ Foscari di Venezia nel cui auditorium Santa Margherita ha tenuto una lezione.
Il mal d’Africa esiste, e deriva proprio dal fatto che le nostre radici sono lì, i nostri geni vengono da lì: ecco perché siamo tutti africani. E’ importante ricordarlo sempre che apparteniamo tutti a un’unica specie – Homo Sapiens – a prescindere dai colori degli occhi, dei capelli, della pelle.
Oggi esistono ormai 400 esemplari della specie Lucy, cioè l’Australopiteco Afarensis, così chiamato da Johanson (nella foto piccola in sede di scoperta) quando a trent’anni, nell’autunno 1973, nella regione etiope di Afar trovò il primo resto di ominide, un frammento del ginocchio. Prima di allora si erano trovati solo resti di Homo di Neanderthal e si pensava ancora che fosse l’Europa il luogo di origine dell’umanità. Ma noi eravamo darwiniani convinti e quindi cercammo in Africa dove già si erano trovati antichi resti umani nel Sudafrica. Nel 1973 puntammo su Hadar e sull’altopiano di Afar a nord della Great Rift Valley in Etiopia perché lì il geologo francese Maurice Taieb aveva trovato in superficie vasti depositi lacustri e fluviali con tonnellate di ossa fossili di mammiferi (elefanti e maiali soprattutto) vissuti da 2,5 a 3 milioni di anni fa. Ci piazzammo con le tende in riva al fiume, protetti da guardie armate locali, perché la zona era frequentata da due tribù rivali, e iniziammo a cercare. Dopo un mese trovai l’articolazione di un ginocchio (estremità superiore della tibia e estremità inferiore del femore) databile 3,4 milioni di anni. Alla ripresa della ricerca nel 1974 trovammo alcune mandibole di ominidi e il 24 novembre 1974 finalmente la grande scoperta. Quella mattina dopo quattro ore di ricerche a 45 gradi centigradi, con uno studente ero diretto alla Land Rover che ci avrebbe riportati al campo dopo aver trovato solo denti di scimmia e antilope; stavamo chiacchierando quando ho trovato un frammento di un braccio e la parte posteriore di un piccolo cranio. E’ stata anche la fortuna, se avessi camminato più a destra o più a sinistra non l’avrei notato; ma ritrovamenti come questi non si fanno solo con la fortuna: servono studi e tanto allenamento, perché all’inizio i fossili li confondi con i sassi. Per tre settimane trovammo altri denti e ossa dello stesso scheletro, mettemmo tutto nella carta igienica e sotto la tenda ricostruimmo il 40% dello scheletro di una bambina di 11 anni, alta 104 centimetri; al termine mentre festeggiavamo ascoltando sul registratore la canzone dei Beatles “Lucy in the Sky with Diamonds”, la mia collaboratrice Pamela Alderman, suggerì di chiamare quella piccola donna proprio Lucy: un nome che in Etiopia hanno poi dato ai figli, alle scuole, alla squadra di calcio femminile nazionale. Per gli etiopi lei è semplicemente Dinqinesh, che significa “tu sei bellissima”. Di certo sappiamo che Lucy camminava eretta, anche se probabilmente per dormire difesa dai predatori, saliva sugli alberi. Fu forse un coccodrillo ad ucciderla, visto che presenta un’intaccatura in un osso e che è stata trovata ai bordi del lago. Gli Australopitechi come Lucy vissero per 900.000 anni, in piccoli gruppi composti da diversi esemplari maschi e femmine. Dopo di loro sono arrivati l’Homo Sapiens e l’Afarensis Boisei.
La ricerca e Bill Gates
L’originale di Lucy è conservato al Museo Nazionale di Addis Abeba, ma gli italiani ne possono vedere una copia al Museo di Storia naturale di Venezia, assieme ad altri reperti dati in prestito permanente dalla Collezione Ligabue. Negli anni, prosegue Johanson che sta scrivendo la sua autobiografia e che a settembre ripartirà per l’Etiopia, abbiamo formato gli archeologi etiopi, sempre consci che in quel Paese noi siamo solo ospiti: Ed è un nostro studente locale che nel 2013 a 40 km dal ritrovamento di Lucy, nella cenere vulcanica ha rinvenuto un pezzo di mandibola coi denti lunghi e affilati, di un uomo vissuto 2,5 milioni di anni fa.
Dai ritrovamenti seguenti (le ricerche proseguono) si è potuto stabilire che il cranio di un Australopitecus Afarensis maschio adulto aveva un volume di 550 cc. (quello di Lucy 380 cc., mentre l’uomo moderno 1.400). Lucy era una delle femmine più piccole della sua specie. Oggi sappiamo che questi australopitechi erano prevalentemente vegetariani, ma le proteine le prendevano da termiti, granchi, carne di tartaruga, coccodrillo, rane, uccelli, rane. Si sono anche trovate pietre da loro incise 3,4 milioni di anni fa, a testimonianza di una decisa manualità.
Per il ricercatore sul campo l’occhio resta il miglior strumento, conclude lo scienziato americano, ricordando la proposta di Bill Gates: Prima di sposarsi, Bill Gates volle seguirmi in una spedizione in Africa. Vista la difficoltà della ricerca, a un certo punto mi disse: “Potresti fare qualcosa di più produttivo invece di perdere tanto tempo. Dovremmo inventare un dispositivo che cerchi al posto nostro”. Chissà…
Molto interessante, anche didatticamente. Grazie.