Si fa presto a dire curdi


Curdi, popolo dal nome proibito

 

Si fa presto a dire curdi. Sarebbe come dire italiani. Sì perché i curdi sono pochi meno di noi, sono 50 milioni di persone della medesima etnia che vivono in un non luogo – il Kurdistan – che di fatto non è uno Stato nazionale, ma un esteso territorio di 392.000 km quadrati (di 90.000 km quadrati più grande dell’Italia e situato in gran parte in Anatolia) che abbraccia i confini di Turchia, Iraq, Iran e Siria. Indoeuropei, parlano una lingua iranica, scrivono in tre diversi alfabeti (il nostro, il cirillico, l’arabo) e professano diverse religioni tra cui islamismo, cristianesimo, ebraismo, zoroastrismo. Sono quindi un popolo che ben rappresenta l’umanità nel suo complesso, adagiata tra Occidente e Oriente. Anche la loro storia ha molto in comune con noi. I Qurti tra il 2400 e il 2000 avanti Cristo rivaleggiavano contro i Sumeri e nel I secolo a.C. si allearono a Roma tanto che nell’anno 424 ebbero il loro primo vescovo prima di essere islamizzati due secoli più tardi.

 

Risale al 1514 la prima divisione in due del loro territorio: una parte andò all’Impero Ottomano (turco) ed una alla Persia (Iran). Ma l’oggi del Kurdistan fu dettato nel 1920 dal Trattato di Sèvres che smembrò l’Impero Ottomano sconfitto nella Grande Guerra assieme a Germania e Austria-Ungheria: grazie a Sèvres la minoranza curda avrebbe ottenuto l’autonomia; tuttavia la vittoria di Mustafa Kemal Ataturk (padre della Turchia) nella guerra d’indipendenza turca, portò nel 1923 i vincitori della prima guerra mondiale a cambiare le carte in tavola firmando il Trattato di Losanna che cancellò qualsiasi concessione prevista in terra turca per le minoranze armene, curde e greche. I curdi si trovarono così divisi tra turchi e iracheni, diventando minoranza fastidiosa e immeritevole di considerazione: un problema da risolvere o da dimenticare, a seconda dei momenti storici e degli uomini forti al governo. E questo nonostante la Società delle Nazioni (premessa dell’ONU) avesse preteso l’autonomia amministrativa di quel popolo. Nel 1925 i britannici, allora amministratori della monarchia irachena, bombardarono con i loro aerei i villaggi curdi che osavano reclamare l’indipendenza promessa. Nel 1931 Mustafà Barzani (foto sotto) divenne leader della resistenza curda: subì l’arresto da parte dei turchi, poi fu esiliato in Iraq, tornò alla lotta armata e dovette riparare con mille uomini nel Kurdistan iraniano dove nel 1945 ottenne l’appoggio dei sovietici.

 

Curdi dell’Iraq

Abolita nel 1958 la monarchia irachena, il colpo di Stato garantì libertà civili ai curdi, così Barzani poté fondare il Partito Democratico del Kurdistan (PDK). Nel 1961 però il generale Abdul Karim Qasim che aveva concesso tanto ai curdi, si rimangiò le concessioni al punto che ne nacquero rivolte curde condotte da miliziani detti peshmerga. Un altro golpe del ’63 portò una breve tregua tra le parti, finita con un forte conflitto. Dopo alterne vicende i curdi ottennero l’appoggio dello scià di Persia. Nel ’69 il regime iracheno tornò ad attaccare i curdi che si vendicarono bloccando per settimane l’export petrolifero degli impianti iracheni di Kirkuk. L’alleanza con gli iraniani obbligò l’allora dittatore Saddam Hussein (foto sopra il titolo) a firmare un accordo con Barzani, molto vantaggioso per i curdi che poterono perfino avere cinque propri ministri nel governo di Baghdad. Ma il dittatore non rispettò i patti e nel 1974 40.000 peshmerga insorsero con l’appoggio dell’Iran che però a breve fu costretto dalla comunità internazionale a ritirare gli aiuti: ciò portò alla fuga in Iran di molti curdi che si sentirono definitivamente in pericolo in terra irachena. Nel 1976 Saddam espulse i curdi dal confine con l’Iran e durante la guerra Iran-Iraq nel 1983 represse duramente quella popolazione accusata di connivenza col nemico: 2.000 villaggi furono distrutti e morirono dalle 50.000 alle 100.000 persone. Il massacro fu ripetuto nel 1987 quando 182.000 curdi vennero massacrati con i gas letali.

La prima guerra del Golfo portò nel 1991 all’autonomia dei curdi iracheni, tanto che nel ’92 si svolsero le prime elezioni libere. Nella seconda guerra del Golfo i curdi si allearono con gli americani e dal 2005 la regione curda irachena gode di una sua autonomia. Nel 2017 i curdi parteciparono ad un referendum per l’indipendenza del Kurdistan, che nonostante il 93% dei sì, fu bollato da Iraq, Iran, Turchia e Usa e portò all’occupazione irachena dei territori curdi.

 

Curdi di Turchia

Fin da tempi remoti i turchi non dicono curdi, ma turchi delle montagne: non perché li sentono simili, ma in quanto è sempre stata loro vietata la stessa parola curdo mentre ai curdi di Turchia venne proibito usare la propria lingua e i cognomi curdi. Per rivendicare il diritto ad essere riconosciuti come società civile, i curdi nel 1984 diedero vita al PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan) che di fatto era un gruppo terroristico marxista capeggiato da Abdullah Ocalan (foto sopra il titolo) dal 1999 all’ergastolo dopo un bilancio di circa 37.000 morti ammazzati attribuiti al PKK, movimento che nel 2001 depose le armi divenendo partito politico.

 

Curdi di Siria

YPG è in Siria il nome del braccio armato del PKK presente nel Kurdistan siriano e attivo contro le milizie jiadiste dell’Isis che i curdi  contribuirono a sconfiggere di concerto con gli americani, con i russi e con l’esercito del dittatore Assad, il loro nemico di sempre. Nel frattempo i turchi sconfinarono più volte ponendo proprie basi militari in aree siriane. Di questi giorni la guerra dichiarata da parte del presidente turco Erdogan (foto sopra il titolo) che ha fatto entrare in territorio siriano il proprio esercito, considerato il secondo meglio armato in ambito NATO dopo quello americano.

 

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