Fibrillazione. Il giornalismo non sa più parlare


Fibrillazione, ovvero alterazione del ritmo cardiaco. Un termine che il giornalismo italiano, ormai da molti anni, ha scippato al linguaggio tecnico della Medicina per appropriarsene e usarlo ad ogni piè sospinto (giornali, tv, radio, social) ovunque il discorso indichi preoccupazioni, grande disagio dentro un partito o tra i partiti. Quasi che non esistessero altre parole per indicare appunto agitazione, nervosismo, forte disagio, preoccupazione, concitazione, esagitazione, inquietudine, alterazione, ansia, irrequietezza, fermento, fremito, smania, subbuglio, trambusto, essere sotto sopra.

La ricca lingua italiana insomma si piega giorno dopo giorno all’omologazione, alla povertà espressiva, alla monotonia lessicale, alla trasandatezza, alla mancanza di fantasia espressa proprio da chi – i giornalisti – dovrebbe saperla usare appropriatamente, soprattutto a vantaggio dei lettori/ascoltatori, sempre più impoveriti dal linguaggio stereotipato e frettoloso di social e cellulari, fatto di acronimi e iper sintesi.

C’è da augurarsi che la fantasia e un briciolo di sforzo nella ricerca dei sinonimi, faccia vincere la pigrizia curando questo “organismo linguistico” che, più che fibrillare (e svendersi all’idioma di Albione) è sul punto di lasciarci, ormai vicino all’elettroencefalogramma piatto.

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