
Come sanno bene psicologi e psicoanalisti, il simbolo è sostanza, capace di rivelare di noi anche ciò che, per convenienza o paura, non vorremmo dire apertamente. E il simbolo può perfino fare la differenza tra la vita e la morte. Se una bottiglia di aranciata in etichetta riporta solo ideogrammi cinesi, potremmo essere portati ad aprirla e a versarne il contenuto in un bicchiere; ma se vediamo che presenta anche il simbolo del teschio con due tibie incrociate, capiamo subito che si tratta di veleno e che il contenitore ci ha tratto in inganno. Lo stesso avviene per i segnali stradali: il cartello di curva pericolosa ci induce a rallentare, e a fermarci il rosso del semaforo, mentre la croce lampeggiante ci indica la presenza di una farmacia. Ma se in lontananza vediamo una luce rossa fuori da un locale notturno, l’effetto che ci comunica è differente, come il lampeggiante arancione a un incrocio ha un altro significato rispetto a quello acceso in discoteca; perché il nostro cervello riconosce non solo il senso dei simboli, ma sa anche attribuirne significati diversi a seconda della loro posizione spaziale nel contesto sociale. In un paese straniero un cartello scritto in lingue sconosciute non ci spaventa, ma se vediamo che contiene il simbolo della X sul disegno di una macchina fotografica, immediatamente capiamo che per evitare spiacevoli conseguenze non dobbiamo riprendere immagini di quel luogo.
A volte i simboli ci traggono in inganno quando si tratta di segni corporei usati da differenti società: muovere la testa in su e in giù nella nostra cultura equivale ad annuire, ma in quella greca per dire sì si gira il capo a destra e sinistra. Così come fare il segno di OK in Brasile e Russia equivale a un’offesa e mostrare con due dita il segno di V di vittoria risulta offensivo in Australia, Gran Bretagna, Irlanda, Nuova Zelanda e Sudafrica se, invece del palmo, alle persone volgiamo il dorso della mano.
E che dire dei simboli dei partiti politici? Servono a richiamare l’idea ispiratrice: un cittadino in cabina elettorale deve poter scegliere immediatamente a chi dare il voto, così come un simbolo politico indica immediatamente quale ideologia sarà espressa in un comizio. Da quando esiste il comunismo, la falce e il martello incrociati ne indicano i princìpi, così come nell’Italia fascista il fascio littorio (diversamente dalle origini nella Roma antica) simboleggiava il fascismo, sostituito nel dopoguerra dalla fiamma tricolore nelle insegne del partito che vi si ispirava. Negli anni i due principali partiti che si richiamavano a quelle ideologie diametralmente opposte, hanno ridotto nel loro emblema la dimensione del simbolo di riferimento: un modo per indicare che un cambiamento – difficile e lento, ma inesorabile – era in atto. Alla fine solo uno ha eliminato del tutto quel simbolo, l’altro l’ha conservato.