Pervitin, la droga del Terzo Reich


Per tre anni cartelloni pubblicitari sparsi per Berlino decantavano le doti di un tubetto di pastiglie che ridava l’allegria, ma anche un senso di onnipotenza e tanta energia. Dal 1938 al ’41 il Pervitin (una metanfetamina psicostimolante) teneva svegli e senza i morsi della fame. Per tre anni nessuno in Germania disse che era pericoloso perché creava dipendenza e in chi ne abusava provocava reazioni violente, ansia, paranoia, confusione e disturbi della personalità. Così venne ampiamente fornito alle truppe in guerra, ma anche agli operai e perfino le casalinghe ne facevano uso. Lo confessò lo stesso medico di Hitler, Theodor Morell, che all’intero popolo germanico era stata creata la dipendenza da questa droga. Rassicurati dalla martellante campagna dell’agenzia pubblicitaria Mathes & Son, i tedeschi si convinsero della bontà di questa sostanza che dava energia ed euforia e per di più era alla portata di tutte le tasche.  

Studi fatti su studenti convinsero le autorità militari a imbottire i soldati con questa droga fornendola nelle razioni di pranzo e cena: così i combattenti riuscivano a percorrere anche 60 km in un giorno senza fermarsi e facevano a meno di dormire per più di tre giorni. Di lì arrivò la Blitzkrieg – guerra lampo in Polonia, nelle Ardenne, poi la campagna dei Balcani che durò solo 11 giorni. Tutti i soldati erano dopati, e ai carristi davano la Panzerschokolade, metanfetamina mescolata alla cioccolata.

Fu il medico svizzero Leonardo Conti, alto funzionario sanitario dei Reich, ad accorgersi della pericolosità della sostanza che aveva pesanti effetti collaterali, tanto che nel 1941 venne proibita; ma i tedeschi continuavano a trovarla sottobanco. Così civili, ma soprattutto militari, ignorarono la proibizione e il consumo di Pervitin aumentò proprio durante la sua messa al bando ufficiale. In preda a crisi psicotiche, alcuni soldati si uccidevano, altri morivano di insufficienza cardiaca, ma chi resisteva sembrava invincibile e questo era l’obiettivo delle alte gerarchie che si accorsero troppo tardi della parabola discendente provocata alle truppe dall’assuefazione alla sostanza.

Di “errori” come questo i tedeschi ne fecero altri, tra cui quello che esplose a livello mondiale come caso Talidomide negli anni Sessanta e seguenti di cui parlo con l’amico Alfredo Giacon nel libro Talidomide: il grande silenzio, pubblicato da Mursia.    

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