Confesso di aver ceduto alla curiosità, guardando il festival di Sanremo fino alla scelta dei primi 5. Senza perdermi quindi alcuni dei momenti “storici”: il bacio in bocca a Fedez, la confidenza di Gino Paoli a 16 milioni di italiani sui tradimenti della compagna che Little Tony aveva 60 anni fa, la portata del “fenomeno” social-presentatrice in corpetto oro & ferragni e altre facezie intervallate da canzoni di cui ne avrei salvate al massimo tre (ovviamente non salite nell’Olimpo).
Ma a colpirmi più di tutti è stata la riproposizione della Vanoni. Mi ha fatto venire in mente la saggezza di Mina, auto-censuratasi dalle scene decisamente molto prima degli 88 anni di Ornella: età in cui obiettivamente un cantante dovrebbe essere apprezzato per sue doti espresse nel passato. Invece (come anche Gino Paoli) non mancano mai i “ripescati” dagli anni Sessanta, convinti di avere la stessa voce e presenza del tempo che fu. Vanoni mi ha anche fatto ricordare mia nonna, che quando la conobbi aveva sessant’anni ed è stata l’unica donna (che abbia mai visto di persona) con un numero di solchi in faccia tanto potenti e numerosi, in orizzontale e verticale. Non se ne è mai curata, era la sua pelle, certo esposta per troppi anni al sole più feroce: ai suoi tempi l’esposizione era raccomandata ai bambini (lei dirigeva una colonia elioterapica in Friuli). Speriamo almeno che vedere la trasformazione espressiva della Vanoni e lo strazio di quel botulino che accompagna il viso di tante donne/uomini di spettacolo (la rete ne offre un’impietosa panoramica), metta in guardia quei giovani che appena hanno da parte due soldi già progettano di rifarsi.
ROBERTO BRUMAT 