
Siamo nel 1553 quando gli Anziani e il Consiglio dei Cento vietano alle cittadine di Ascoli Piceno di vestirsi alla moda. Le vesti femminili un poco curtette non devono assolutamente lasciar intravvedere le caviglie, ritenute sconvenienti: questo dice il potere cittadino.
Da che pulpito viene la predica! Devono aver pensato le donne ascolane che, non accettando quest’obbligo antiquato – come si legge nel saggio di Anna Esposito I desideri delle donne tra nozze e conventi – rispondono per le rime prendendosela con la moda sconcia dei loro uomini: Usate far casache et corpette tanto corte, che mostrate tutte le chiappe et natiche integre da riete, et non solo da riete, ma anchora denanti venete a mostrare certe brachette toste, lonche, suttile ed dirizzate in su che a considerar l’è cosa multa desonestissima.

In ogni caso, come sempre, chi aveva soldi poteva permettersi ogni cosa: difatti in tante città italiane del tardo Medioevo, le mogli di cavalieri e dottori erano esentate da queste leggi restrittive rispetto all’abbigliamento; e poi sia donne sia uomini che volevano vestire come gli pareva, in città come Siena, Bologna, Viterbo (e altre) pagavano un’apposita tassa e potevano indossare le vesti proibite (dette vesti bollate per via del bollo che vi veniva apposto per circa un anno). Era anche possibile fare una supplica addirittura al Papa chiedendo la deroga dalle leggi: pratica ovviamente maggiormente diffusa nello Stato Pontificio.