La donna non divida ciò che la lingua ha unito


Non per misconoscere le giustissime battaglie femminili per la parità sociale- politica- economica, ma quando si mette di mezzo la trasformazione della lingua italiana, provo un certo fastidio. Anche perché una consuetudine linguistica che dura da centinaia di anni è radicata e io per il lavoro che faccio mi sento tra i difensori dello status quo. A me dire presidenta non piace.  Lo dico proprio per un discorso fonetico e non certo per difendere la differenza di genere: tanto più che prima di questa rivoluzione linguistica si poteva dire tranquillamente la presidente, come si diceva una autista o con l’apostrofo un’autista.

Visto che nella lingua italiana per un presunto “politicamente corretto” si stanno femminilizzando tutte le parole che da sempre hanno avuto (al maschile) una connotazione universale e quindi non legata al sesso in assenza di parole neutre, allora per parità di genere si mascolinizzino le parole che terminano in a. Così se oggi sono nate parole come presidenta, sindaca, assessora, direttora, allo stesso modo propongo di chiamare astronauta solo la donna, mentre l’uomo potrebbe diventare astronauto; il giornalista uomo diventi giornalisto; il fiscalista, fiscalisto; il farmacista, farmacisto; l’alimentarista, alimentaristo. Ma anche altri sostantivi più elevati si distinguano per genere: l’anima è femminile, l’animo sia il suo maschile, trovando alla parola animo un nuovo significato in modo che si distingua chiaramente l’anima della donna dall’animo dell’uomo. E gli esseri umani? Impossibile. E’ vero, la distinzione maschile/femminile è presente nei termini che indicano certe professioni, ma è per tradizione assente in quelle apicali, come presidente, capo, direttore.

Un’altra assurdità che si sente in televisione (politici, giornalisti) è la duplicazione dei sostantivi al maschile e al femminile: italiane e italiani, ragazze e ragazzi, telespettatrici e telespettatori… Se si dovesse usare questa regola non detta anche sulla carta stampata, con questi doppioni avremmo mega titoli e articoli lunghissimi. D’accordo che quando secoli fa fu deciso che il maschile plurale poteva adattarsi sia agli uomini sia alle donne, si scelse una consuetudine maschilista; ma oggi si potrebbe tranquillamente continuare così, sapendo – come sapevano le generazioni che ci hanno preceduto da almeno duemila anni – che dire gli Svedesi non significa dire i maschi svedesi, mentre si distinguono i sessi dicendo gli uomini svedesi o le donne svedesi.

DONNAØUOMO

Dire l’uomo o gli uomini quando genericamente si parla della specie umana, non lo trovo sconveniente o scorretto: bisognerebbe forse dire sempre l’uomo e la donna del XX secolo oppure gli uomini primitivi e le donne primitive? E ci saranno pur stati anche quelli che nascevano con un doppio sesso: perché escluderli dalla storia?

Questa logica trascinerebbe con sé l’esigenza di non più mascolinizzare il plurale riferendosi alla somma di sostantivi maschili e femminili, che evidentemente andrebbero distinti. Invece di dire I sommozzatori Dario e Anna si sono immersi nel lago, si dovrebbe forse dire: Un sommozzatore e una sommozzatrice, Dario e Anna, si sono immersi e immerse nel lago. Con questa nuova variante le donne si sentirebbero davvero gratificate o per lo meno risarcite dai “soprusi” maschilisti?

Però nessuna declinazione negativa al femminile

Un’altra obiezione a questo “politicamente corretto” linguistico che sta imperversando in Italia. Perché ci si affanna tanto a precisare gli italiani e le italiane o gli uomini e le donne o i farmacisti e le farmaciste, sempre e solo nell’accezione positiva? Avete mai sentito mettere in una frase generica, la distinzione: i ladri e le ladre, gli assassini e le assassine, gli imbroglioni e le imbroglione? Esisteranno pure in natura le ladre, le assassine e le imbroglione… Se citare sempre e comunque i due generi è diventato un imperativo, allora lo sia sempre.

Dobbiamo proprio distinguerci grammaticalmente? La donna ha davvero bisogno di questo per sentirsi emancipata, o piuttosto servono leggi e regole che impongano effettivamente la parità? La lingua è una convenzione. Allora per essere politicamente corretti dovremmo anche considerare linguisticamente termini per chi non si sente né maschio né femmina; e non sarebbe più finita…

Se esistesse il neutro, oggi, per non usare il maschile, magari diremmo lu genere umanu o una perifrasi del tipo il genere che comprende uomini e donne; o meglio ancora (in ordine alfabetico per non offendere nessuno): il genere che comprende donne, transgender e uomini.

E per descrivere la nostra specie magari non dovremmo dire l’Uomo, ma lu uodo o lu douo. In fondo basterebbe che i social usassero accanitamente le nuove varianti e dopo qualche anno l’Accademia della Crusca ne sancirebbe l’ufficialità. In un’epoca di velocità e semplificazioni, stiamo davvero tornando indietro…

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