25 aprile. Non si può pretendere. Non ancora.


25 aprile festa della liberazione e di tutti gli italiani. Sì, ma di quelli che si riconoscono nei valori di libertà e democrazia scaturiti dalla guerra di liberazione di ottant’anni fa. Come ci si può riconoscere chi ancora prova nostalgia per il fascismo? Sugli ideali radicati c’è poco da pretendere. Se io la pensassi ancora come quando, alle prime due elezioni politiche della mia vita, votai Movimento Monarchico Italiano e poi Movimento Sociale Italiano, di 25 aprile, partigiani e O bella ciao, non vorrei sentir parlare. Da ragazzo per ispirazione familiare militavo a destra tanto che un giorno a Gorizia, diciottenne, seguii una compagna di classe che mi portò nella sede dell’Msi per farmi conoscere una “persona importante”; poi rimasi inorridito quando mi presentò entusiasta un tale che era diventato famoso per aver accoltellato un comunista. Naturalmente non gli strinsi la mano. Non ero fanatico né violento, mi piaceva solo quel che diceva Almirante e mi fidavo di ciò che sentivo in casa dove aleggiava la nostalgia per una giovinezza lontana, mischiata a divise, parate, esercizi ginnici; farcita dei luoghi comuni di chi aveva vissuto in una provincia di confine, lontano dagli eventi nazionali e sentendo solo la stampa di regime con le sue notizie positive fatte di inaugurazioni, successi, rispetto, zero violenza, apparati funzionanti e gente che seguiva i valori di sempre (Dio, patria e famiglia). E poi nel ‘45 due miei zii, obbligati a vestire la divisa di guardia civica, erano stati assassinati dai comunisti jugoslavi: uno finì nelle foibe e l’altro (anche se antifascista dichiarato) morì in un attentato. Perché mai avrei dovuto provare simpatia per chi aveva sconfitto il fascismo uccidendo pure i miei familiari?

Mi ci volle qualche anno per sentire altre campane, capire meglio com’erano andate le cose e cambiare idea: sul ventennio, sui suoi modelli di superiorità – ordine – uomo solo al comando – difesa dei ceti privilegiati e amore per razzismi e baionette. Questo per dire che non si può pretendere che un presidente del Senato che in casa ancora tiene diverse statuette di Mussolini (ereditate dal padre segretario locale del Partito Nazionale Fascista) a 75 anni riesca a dirsi sinceramente antifascista. L’abiura, quando non è sincera, è innaturale. Semmai ci si dovrebbe chiedere com’è possibile che un partito post fascista (che continua a mantenere nel simbolo i richiami alle sue nuove origini del dopoguerra) sia chiamato a garantire i valori costituzionali nati proprio dalla lotta al fascismo: un conflitto in termini, ma anche la bellezza della democrazia. Nessuno sentirà mai qualcuno di Fratelli d’Italia intonare O bella ciao. Io da ragazzo non l’avrei mai fatto, perché ero cresciuto sentendo dire che la Resistenza aveva prodotto morti ingiuste: solo un difficile e lento processo rende possibile interiorizzare concetti che ribaltano le vecchie convinzioni e danno maggiore obiettività. Ecco perché capisco la difficoltà di questa destra a rinnegare il suo passato, che se non è quello originario dei fasci di combattimento, deriva da quello degli anni di piombo quando l’Msi comunque evocava il duce. Solo chi ne è venuto veramente fuori non ha problemi ad abbracciare gli ideali antifascisti della Costituzione: per gli altri restano vuoti slogan da ripetere solo a parole, per dovere istituzionale.    

Si potrà dire che il fascismo sarà morto solo quando non esisteranno più slogan e rituali nostalgici e nessuno avrà problema a criticare il ventennio come fenomeno storico profondamente sbagliato. Lo stesso vale per chi ancora oggi prova rimpianti perfino per Stalin o Hitler, pur non avendo vissuto ai loro tempi.

Dalla parte della libertà o di chi la negava

Buon 25 aprile, memoria della nascita della democrazia nel nostro paese, patrimonio comune a tutti. I fratelli italiani per anni si sono uccisi tra loro: non che non l’avessero sempre fatto per secoli nelle lotte tra signorie; ma durante la Resistenza sono morti da una parte per far vincere libertà e democrazia e dall’altra per impedirle, difendendo due sanguinarie dittature. Questo è stato e questo si ricorda il giorno della liberazione (anche il Portogallo festeggia il suo 25 aprile), distinguendo tra chi ha dato la vita per questi due valori e chi l’ha persa cercando di negarli. Se oggi viviamo liberi e ci è risparmiata l’esperienza della dittatura, dobbiamo essere grati a quegli italiani che hanno aiutato gli alleati a cambiare la storia europea. Non possono esserci tanti giri di parole: o si è di qua o di là. Al tempo qualcuno ha sbagliato campo e chi non lo vuole ammettere è contro il principio stesso di libertà. Non si tratta di onorare il ricordo di padri o nonni (quello ognuno continuerà a farlo privatamente), si tratta di ammettere che la libertà è migliore della dittatura e che è stato giusto far di tutto per vivere in democrazia.

C’è chi non riesce a pronunciare la parola antifascismo e si vanta il 25 aprile di festeggiare la nascita di S. Marco o va a Praga a ricordare il ragazzo cecoslovacco martire dell’anticomunismo: così, magari anche solo per difendere un ricordo familiare, si schiera apertamente dall’altra parte della storia, ma anche del presente. Ci sarà sempre chi per tante ragioni sceglie di non fare i conti con certe origini familiari o con certe simpatie per un lontano passato…

Questa è un’intensa moderna versione di O bella ciao, di Marlene Kunz e Skin, che richiama valori di condivisione tra popoli diversi, non propriamente cari ai totalitarismi.  

3 risposte a “25 aprile. Non si può pretendere. Non ancora.

      • caro Roby, la guerra è un mostro orribile. Tutti i valori umani vengono distrutti. Anche nella mia famiglia in un paese della lunigiana, con 400 , 500 anime , durante il periodo di guerra, caddero sotto i colpi dei fascisti due fratelli Galli (secondi cugini) di mio nonno, mentre un fratello di mio nonno venne ucciso dai partigiani. Questi sul far della sera venne prelevato nella sua abitazione da un commando di partigiani, discesi dai monti. Francesco Galli essendo capo del consorzio agrario, era stato ritenuto colluso col regime fascista, in realtà era un apolitico, lo prelevarono dalla sua casa e lo portarono nei boschi. Era già bendato si preparavano alla sua fucilazione, per caso passò di lì un paesano, che chiese a quei partigiani cosa stesse succedendo. Quelli che non erano del paese ma di zone limitrofe, gli segnalarono che stavano fucilando Francesco Galli. A quel punto questi gli spiegò che avevano sbagliato persona. Francesco Galli aveva un’età vicino ai cinquant’anni, mentre il malcapitato bendato pronto davanti al plotone di esecuzione al massimo ne aveva poco più di venti. Difatti era il genero appena rientrato dall’albania, e padre da poco tempo. Ne presero atto e nel cuore della notte, riportarono il malcapitato alla casa, prelevando questa volta il suocero Francesco. Questi che non era impegolato in politica, non aveva minimamente pensato che fosse stato lui il vero obbiettivo dei partigiani per cui era rimasto in casa. Non era corso nella cittadina di Pontremoli, dove abbondavano non solo i fascisti ma era presente pure un battaglione di tedeschi. MAI aveva pensato di essere stato LUI la persona ricercata dai partigiani. Dopo tre giorni venne ritrovato il suo cadavere. Se vuoi ti posso mandare la lapide dei due Galli ed il santino di Francesco, in tal caso segnalami tua e mail. ciao . Angelo.

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