Una collezione in fumo
(per il Corriere del Veneto 18.1.2006)
Difficile dire quale sia la più curiosa: se la grande pipa bassanese a forma di campanile di San Marco unica al mondo e infumabile, quella annodata in caolino (Settecento olandese), la pipa-coccodrillo pre-colombiana o la ottocentesca inglese sexy che riproduce la gamba di una ballerina con tanto di giarrettiera. In casa del regista padovano Claudio Rossetto, 60 anni, la più importante collezione italiana di pipe in terracotta riserva tante sorprese. Sono 950, a cui si aggiungono 300 in vari legni: tutte rigorosamente funzionanti, tanto che il flemmatico collezionista si concede il lusso di provarne alcune a rotazione anche se, dice, le migliori da fumare sono quelle in radica (adottate a partire dal 1856): così, per andare indietro nel tempo, al massimo si ferma ad un modello dei primi ‘900 con bocchino d’osso. La sua raccolta contempla però pipe molto antiche, come quelle del 1500 provenienti dall’Inghilterra, terra d’origine della pipa europea se si esclude l’antica Roma dove modelli in ferro metallo o argento si usavano per varie droghe (il tabacco lo portò Colombo dai Caraibi). Ricordando che sir Walter Raleight a fine ‘500 venne decapitato perché ritenuto stregone in quanto fumatore di pipa, Rossetto mostra i modelli inglesi a fornello piccolissimo (il tabacco era un’erba “magica” e quindi carissima), poi quelli costruiti col simbolo dei Tudor dai fuggiaschi in Olanda; e le pipe di Chioggia, Bassano, Genova, Napoli, abruzzesi e siciliane. “Nell’Ottocento chi era famoso finiva raffigurato sul fornello delle pipe” spiega Rossetto mostrando le immagini della Regina Vittoria, di Nelson, Lawrence d’Arabia, e poi di Napoleone, Garibaldi, Francesco Giuseppe; si finisce ai giorni nostri con le pipe in terracotta realizzate da un vasaio chioggiotto che copiando i modelli antichi immortala i protagonisti di questo tempo: Craxi, Occhetto, Giovanni Paolo II, Mussolini, Bush e Cicciolina. Tra le rarità della collezione padovana spiccano le pipe chioggiotte con tre fori di aspirazione, uniche al mondo e ottime da fumare; la polacca lunga appena 5 centimetri; l’americana del 1907 che riproduce una torre di James Town; le cecoslovacche dell’800 dai coperchi in argento; le ungheresi col musetto di cane la cui bocca stringeva una sigaretta; la pipa autarchica in bachelite anni Trenta. “La passione mi ha preso a 16 anni quando da un tabaccaio di Padova vidi delle pipe in terracotta che nessuno voleva. Ne comprai una per 25 lire. Di lì finii a Bassano dove presi tutte le giacenze della celebre fabbrica FCB che aveva chiuso. Ora acquisto nei mercatini, ma anche via Internet”.Nella casa di Rossetto c’è il mondo: 1200 pipe che rischiano l’oblio. Perché non farne un museo? Sarebbe il secondo in Italia, ma in fatto di pipe in terracotta, il primo.
Filosofi alle elementari
(per il Corriere del Veneto 5.2.2005)
Sei filosofi scambiano le loro idee con i bambini delle elementari. Non era mai successo prima in Italia. L’esperimento di venerdì 29 ottobre alla scuola Arcobaleno è molto atteso, forse più nelle Università di Padova, Venezia e Verona da dove provengono i docenti, che in questa elementare di Brusegana. “I filosofi che hanno accolto con entusiasmo l’invito degli alunni sanno che sarà una grande sfida, perché le domande dei bambini toccano la natura stessa del filosofare. Non sarà assolutamente una lezione, ma dovranno mettersi in gioco”. Chi parla è Marina Santi, direttrice del Dipartimento Scienze dell’educazione dell’Università di Padova che collabora al progetto americano “Philosophy for Children”, lanciato qui nel 2000 e che nel Veneto conta un solo altro esempio all’elementare Pascoli di Rovigo, dove tre classi hanno già accolto alcuni artisti venuti a filosofare sul senso del loro lavoro. I 140 bambini di terza quarta e quinta aspettano con ansia Enrico Berti ordinario di Filosofia all’Università di Padova, Luigi Tarca ordinario a Ca’ Foscari, Francesca Menegoni associata all’Ateneo padovano, i ricercatori di Scienze della Formazione- Università di Padova Fabio Grigenti e Ilaria Malaguti, più Diana Sartori della Comunità Filosofica Femminile Diotima dell’Università di Verona. Per loro hanno scelto sei temi di discussione che i docenti affronteranno in questo confronto alla pari: normalità e diversità, che cos’è il carattere, l’orgoglio, vedere-vedersi e svelarsi, le differenze, vita e morte. E mentre i bambini incontreranno i filosofi, i loro genitori affronteranno con Marina Santi gli stessi argomenti, così come avviene ogni tanto la sera, su espressa richiesta di madri e padri che vogliono condividere la formativa esperienza dei loro figli. Ma chi sono questi alunni così attratti dai massimi sistemi? Bambini come gli altri che hanno la fortuna di frequentare una volta settimana (al posto di Italiano) un’ora di “Filosofia per bambini”, criterio elaborato da Matthew Lipman docente di Logica alla Columbia University di New York. Marina Santi, che ha portato il metodo in Italia e ne ha anche promosso nel 2003 a Padova l’unico corso di perfezionamento post-laurea per insegnanti (45 iscritti da tutte le regioni), spiega: “L’idea di fondo è trasformare la classe in comunità di ricerca utilizzando il dialogo filosofico”. “Quello che facciamo- prosegue Francesca Contarello, una delle otto insegnanti qui chiamate “facilitatrici”- è invitare i bambini a formulare domande sulla lettura di appositi testi. Si parla di tutto: vero e falso, arte, relazione tra scienza e filosofia, rapporto con i genitori, cosa c’è al di fuori di noi. Si scopre così che non hanno imbarazzi nel portare in luce il loro pensiero e dimostrano la capacità di astrarre i concetti non limitandosi a parlare della loro esperienza diretta. L’insegnante non deve fornire le risposte né segnalare la strada giusta per arrivarci.”“In una seconda classe- prosegue Contarello- ci si chiedeva se è giusto che i genitori assecondino sempre i figli: all’inizio a pensare che fosse sbagliato erano solo due bambine, che alla fine hanno convinto tutti gli altri”. Siano di quinta o di prima elementare, i bambini rivelano un’elevata capacità di ragionamento: “Dote che trasferiscono nelle altre materie e perfino nella vita di relazione- dice la maestra Fiorenza Monterosso- e abbiamo notato che nelle piccole dispute qualcuno ora avanza una domanda del tutto nuova, che induce l’altro a riflettere: “Hai una ragione valida per farlo?”“Si è verificato che gli alunni della Philosophy for Children dimostrano capacità superiori alla media nell’area logico-matematica e nella lettura-scrittura: non è tuttavia per creare dei genietti che pratichiamo questo metodo- ribatte Marina Santi- ma per abituarli a ragionare e a sviluppare la sensibilità filosofica che è già presente in loro. I bambini possiedono la dimensione narrativa del pensiero e quella filosofica della realtà, che si manifesta nelle domande, cioè nella ricerca di significati più ampi. Prepariamo cittadini in grado di partecipare democraticamente. Se si potesse praticare abitualmente la filosofia si abituerebbero le nuove generazioni ad affrontare i contrasti argomentando, invece di usare la violenza”. Qualcuno dubita che tra i giovani del Duemila, farciti di televisione, ci sia ancora spazio per il ragionamento? Ecco qualche esempio. I bambini di quinta hanno intuito da soli ciò che Platone sosteneva circa la differenza tra vedere e vedersi, mentre un alunno di 9 anni, con problemi comportamentali, parlando d’arte ha concluso: “Non è importante sapere cosa voleva dire l’artista, ma ciò che fa dire a chi guarda la sua opera”. Altri coetanei hanno commentato: “Picasso è stato costretto a fare dei Picasso perché era quello che la gente si aspettava da lui…” e uno ha aggiunto: “Gli unici veri artisti sono gli scultori perchè sono i soli che devono far stare in piedi le loro idee”.
Fotografo per Hemingway
(per il Corriere del Veneto 19.6.2003)
Al vecchio piaceva molto quella foto scattata dal ragazzo italiano, che lo ritraeva col bicchiere di vino in mano in uno dei tanti giorni trascorsi assieme in Spagna, di corrida in corrida, quando gli aveva chiesto di seguirlo nel suo ultimo lavoro “Estate pericolosa”. Il vecchio era Ernest Hemingway, il ragazzo Lorenzo Capellini e la foto è esposta con altre 200 testimonianze dei rivoluzionari anni Sessanta nel Cortile pensile di Palazzo Moroni in una mostra che il Comune dedica al grande fotografo genovese a margine dell’esposizione in Salone “La grande svolta Anni ‘60”.Chi è Capellini? Un bambino di 10 anni che nel ’49, costretto dalla nefrite a tre mesi di immobilità, riceve in regalo dai genitori una Rolleflex. Ai piedi del letto allestisce una sala di posa dove amici parenti nature morte si avvicendano per farsi immortalare. Diciottenne, orfano di padre, inizia le sue sfide: non ha un lavoro, non conosce l’inglese… Quindi sceglie Londra.“Nella nebbia e nei fumi di carbone camminavo e piangevo disperato. Sei mesi difficilissimi, passati scattando una pellicola al giorno che sviluppavo in bagno di notte. Furono le donne ad aiutarmi. Le donne e i giornalisti”.Cominciò proponendo le sue foto alle agenzie inglesi e bazzicò la “mensa” degli inviati italiani, la Trattoria Toscana di Elio e Otello a Soho, dove si ritrovavano Nantas Salvalaggio di Epoca, Piero Ottone del Corriere, Ruggero Orlando della Rai. “Fondamentale fu l’amicizia con un fiorentino straordinario- prosegue Capellini- l’avvocato ebreo Elio Nissim. Era il “colonnello Stevens”, la voce di Radio Londra che aveva trasmesso dal terrazzo della Bbc. Grazie a lui, collaboratore del settimanale “Il Mondo” entrai nel giro”.Nissim gli fissò un appuntamento a Roma col direttore, da cui Capellini si presentò con un pacco di foto: “Mario Pannunzio pregò gli amici che aveva accanto di aspettare, e sparse sul tavolo le mie immagini. Gli amici erano Alberto Moravia ed Eugenio Montale. Gira per Londra e racconta, mi disse, le didascalie non servono”. Il Mondo, Epoca, l’Espresso, le prime testate ad ospitare i suoi reportages. “Per l’inserto a colori il Daily Express mi inviò in Spagna a documentare il duello tra toreri, Dominguin-Ordonez. Lì conobbi Hemingway, che assieme a Goffredo Parise e Alberto Moravia è stato uno dei più cari amici. A Malaga scorsi Orson Welles con moglie e figlia segreta. Da tre anni aveva fatto perdere le sue tracce. Permise che li fotografassi alle giostre e per me fu un colpaccio da 6 milioni di lire… del ’59”.Poi in Kenya gli venne il “mal d’Africa”, guarito da un amore italiano.Nella mostra padovana Capellini ripercorre la modernizzazione della nostra società, vissuta sulla sua pelle: la “strana” musica dei Beatles ascoltati in un sotterraneo di Liverpool, il sesso libero, le prime minigonne uscite dal negozio che Mary Quant (l’inventrice) aveva sotto casa sua, gli italiani che stavano facendo la storia, lo studio in Pimlico Road che doveva lasciare ogni giorno alle 2 perché la principessa Margaret –Mini minor, occhialoni neri e cappello- vi potesse incontrare per un’ora il fotografo Tony Armstrong-Jones. Questi erano gli anni ’60.
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