Isabella Ragonese (attrice, 2014) 
“Sono contenta di essere stata accanto a Carlo Mazzacurati alla prima al “Torino Film Festival”, dove ottenne una grande accoglienza. Ero felice che la gente ridesse vedendo il suo ultimo lavoro La sedia della felicità, perché Carlo aveva voluto fare un film comico, circondandosi di bravi attori tra cui: Valerio Mastrandrea, Antonio Albanese, Natalino Balasso, Katia Ricciarelli, Silvio Orlando, Fabrizio Bentivoglio, Milena Vukotic, Giuseppe Battiston, Raul Cremona, Roberto Citran”.

Phil Palmer (musicista, 2014)
“Nel tour che iniziamo dall’Italia e che definiamo un concept show, non faremo brani nuovi perché sarà un tributo alla nostra band, i Dire Straits. E sarà la prima volta che suoneremo insieme dopo lo scoglimento avvenuto nel 1995”.
Umberto Contarello (sceneggiatore, 2014)
“La grande bellezza ha avuto una lunga gravidanza. Non essendo romani, io e Paolo Sorrentino negli ultimi due anni ci confessavamo di sentirci un po’ turisti in quella città dove il tempo ti sfugge tra le dita. Di questo parla questo film privo di trama: il tempo perso. A Padova si vive una maggior concretezza, ma nel tempo dilatato di Roma percepisci di più il senso dello stare al mondo. Così un giorno, passeggiando, ci siamo detti: facciamolo! Insieme avevamo già scritto il film The Must Be the Place con Sean Penn. Dopo i primi appunti siamo andati un po’ in giro di notte a spiare questo accampamento di Roma popolato dalla tribù di Gambardella, scrittore dall’incerto talento che ama perdere tempo. Il film ha ridato sacralità al brutto e al volgare. La grande bellezza non è un titolo ironico, ma ci dice: guardate bene tutto questo perché è una meraviglia e la meraviglia sta nella capacità di vedere le cose con occhi nuovi”.
Simone Cristicchi (cantautore, 2014)
“Spero che Magazzino 18 lo vedano gli esuli di tutto il mondo, perché il loro è un dramma comune” commenta il cantautore romano nel foyer. Nessuna contestazione dopo alcune polemiche di estrema sinistra: “Ho puntato sull’umanità e sulla pietà, mostrando compassione per tutti: per i 350.000 italiani costretti a lasciare la loro terra slavizzata dopo il trattato di pace del 1947, per i 7.000 giuliani massacrati nelle foibe e per i 2.000 stalinisti di Monfalcone che scelsero di vivere in Jugoslavia, ma finirono sull’isola lager di Goli Otok per venir rieducati al comunismo di Tito. Non offendo nessuno, tanto che dalla stampa slovena ho ricevuto ottime recensioni”.
Alessandro Bergonzoni (attore, scrittore, artista, 2013) 
“Mi dicono che sono cambiato dopo il coma, ma non è così. E’ stato un lento processo iniziato dieci anni fa. Bisogna farsi antenna, spugna, captare e assorbire da chi esprime valori: per me sono stati mia moglie, i miei amici, le letture, gli altri …I figli? Vediamoli come autostoppisti che carichiamo con noi per qualche anno e poi scendono per proseguire da soli. Alla gente propongo: fate voto di vastità, apritevi più che potere all’ascolto, alla denuncia. Usate il terzo occhio, il terzo orecchio e un cuore che non abbiamo.”
Paolo Crepet (psicologo, psichiatra, scrittore, 2013)
“Non pensate che il voyeurismo sia solo maschile: guardate il successo femminile del libro di Melania P.. Dopo l’ipocrisia degli anni ’60 che copriva i tradimenti, oggi l’Italia è ferma e quando non ci son soldi da spendere ci restano solo fantasie e frustrazioni, la voglia di “farlo strano”. Scambiarsi le mogli significa non considerare più la loro sacralità e alzare la posta non prevede limiti: quando la parità uomo-donna raggiunge anche le fantasie, beh allora il banco sbanca. Quando l’unico modo per stare a galla nel menage familiare è ricorrere all’eccesso vuol dire che si è arrivati alla frutta e non c’è più ritorno. Per carità, questo non significa dare un giudizio morale al sesso nelle sue diverse declinazioni: Casanova direbbe che è un’arte. C’è rappresenta una grande solitudine, una spasmodica ricerca di emozioni. Il sesso selvaggio è un affresco della decadenza, del godimento come illusione di felicità, un’ultima ubriacatura prima del nuovo Medioevo”.
Vera Slepoj (psicoterapeuta, scrittrice, 2013)
“E’ ora di finirla con i libri di erotismo al femminile, dai Cento colpi di spazzola alle Cinquanta sfumature di grigio, alla pruderie di provincia che non aggiunge nulla di nuovo. I veri grandi scrittori lasciano l’erotismo in secondo piano, il lettore insegue lo spessore dei sentimenti, il supermercato del sesso è superato. Il fatto è che le donne vivono la nevrosi di raggiungere lo stesso paradigma maschile: il loro dramma è non riuscire a superare l’idea del legame romantico, che è qualcosa di ancestrale, sperimentando tutti i livelli di erotismo e senza capire che il mondo maschile è fatto di tante sfumature. Sarebbe più interessante poter leggere invece qualcosa sull’amore platonico”.
Massimo Bubola (cantautore, 2013)
“Con le mie instant songs, ovvero episodi di cronaca nera in musica, non voglio certo esaltare il reo, ma evocare l’umanità delle sue vittime e impedire che cadano nell’oblio di una società distratta. L’idea nasce dalla caducità delle notizie di cronaca che non vivono mai più di un mese. Eppure ci sono ballate come Sacco e Vanzetti che tengono in vita episodi per decenni. Io mi approprio di un mestiere antico cercando di creare, nei casi migliori, un’epica, un racconto collettivo: uso la formula della ballata che ben si adatta alla narrazione. In fondo le “murder ballads” sono il retaggio del vecchio folk anglo- irlandese che per attrarre l’attenzione degli avventori di fumosi e malfamati pub usava storie forti. Io mi rifaccio a questa, alla letteratura orale, alla rima, con gli incipit tipici delle ballate folk in cui il protagonista si presentava come un bravo ragazzo per poi rivelarsi un demonio. Scelgo le storie da raccontare sulla base della possibilità che la vicenda faccia scaturire delle domande universali. Mi chiedo spesso, ad esempio, se la pietà sia morta. Approfitto di questi racconti per creare una riflessione: non sono né sociologo né politico, ma voglio capire come evolve la nostra etica. La terza canzone che inserirò nel sito, dopo Quante volte si può morire e vivere sulla morte di Federico Aldovrandi e Hanno sparato a un angelo che racconta la morte a Roma di una cinesina di 9 mesi e di suo padre freddati da due scippatori, sarà Chi fermerà queste croci che parla del femminicidio. Metterò in rete una canzone al mese fino a raggiungere il numero necessario a farne un cd. Episodi di questi anni, ma anche più vecchi, come brani tipo Don Raffaé (dall’album Nuvole) che parla dell’ossequio del secondino verso il potente detenuto camorrista e che in qualche modo fa venire in mente l’attualità della contiguità tra politica e mafia; o come Tutti assolti che parla delle stragi di piazza Fontana e di piazza della Loggia; ma anche come Se mi tagliassero a pezzetti che accenna alla strage di Bologna”.
Francesca Michielin (cantante, vincitrice X Factor, 2012)
“Prima la musica era solo una passione, ora è diventata un lavoro: suono e scrivo musica tutti i giorni e la scuola non la posso più frequentare; così il liceo classico lo proseguo da privatista. Fortunatamente chi mi vuole bene è rimasto al mio fianco e questo è importantissimo, come è importante che i dischi piacciano alla gente che accoglie bene i miei singoli; con alcuni brani ho anche vinto da poco l’ottavo Disco Facebook di Radio Italia e il videoclip di Distratto si è aggiudicato l’oro nella categoria emergenti del Premio Videoclip italiano. Rispetto a X Factor trovo che l’esperienza di Sky abbia dato un nuovo impulso, il programma è ben rodato e Luca Tomassini ha potuto realizzare scenografie accattivanti. Sono molto sincera, ho guardato la sfida cercando di cogliere le singole particolarità di ogni cantante: mi piacevano prima di tutto le esibizioni. Sono stati tutti davvero molto bravi”.
Antonio Tamburro (pittore, 2012)
“Dopo vent’anni di ricerca chiuso nella gabbia delle tonalità dei grigi, sono riapprodato al colore; mi sono liberato dalle attese del mercato che mi voleva intimista. Avevo un gran desiderio di cambiare e sono andato finalmente a ruota libera. Resto sempre contrario a lanciare messaggi, perché io dipingo ciò che sono e che mi emoziona. Semmai esprimo il fastidio per la società massificata, per la frenesia e la calca; li esorcizzo cercando di far emergere il senso del bello anche dalle tante, troppe brutture che ci circondano”.
Jacques Villeglé (artista del Nouveau Réalisme, 2012)
“Non sono stato copiato da altri artisti del Nouveau Réalisme: Arman e Mimmo Rotella, per esempio, tutti più giovani di me, hanno seguito un percorso artistico diverso dal mio”.
Ettore Bernabei (già direttore generale Rai, 2011)
“Quando dal 1961 al 74 ero direttore generale della Rai mi ritenevano un boiardo di Stato perché difendevo il ruolo della televisione e volevo una buona tv. Oggi la televisione è molto peggiorata: il Grande Fratello è il prototipo della cattiva tv. La televisione è peggiorata perché è sono peggiorati i tempi. La colpa è dell’elite che si impossessa delle leve del comando: in tutto il mondo è uguale. La società ha tolto alla politica il suo doveroso primato, preso dalla finanza speculativa che negli ultimi 25 anni ha guidato e sta guidando la comunità servendosi della televisione per addormentare la gente. La tv serve a distrarre i cittadini dai veri problemi e dalla realtà”.
Mirco Bergamasco (nazionale di rugby, 2011)
“Al nostro primo appuntamento ai Mondiali di rugby, l’11 settembre in Nuova Zelanda ci troveremo contro l’Australia: un osso duro, visto che è una delle prime tre formazioni al mondo, ma ci siamo allenati bene e nessuno di noi è fuori forma”.
Alberto Angela (divulgatore scientifico, 2011)
“Nella vita di tutti i giorni come nella scienza cerchiamo sempre indizi, perché tutto parte dal nostro passato di cacciatori-raccoglitori. Ligabue Magazine di cui sono direttore editoriale, è una rivista rivolta a tutti, nata per soddisfare la curiosità del lettore permettendogli di viaggiare restando seduto. Utilizza un linguaggio semplice per accompagnare tanto lo scienziato quanto il curioso là dove i ricercatori si sono spinti, raccontando solo novità: e ce ne sono sempre tantissime”.
Donatella Avanzo (egittologa, 2011)
“Da sempre si cerca di capire come gli Egizi avessero potuto sollevare i pesantissimi blocchi di pietra, poi in una piramide vicino a quella di Giza, abbiamo notato dei segni regolari lungo tutto il corridoio ascendente: era la prima prova dell’esistenza della “macchina dei lunghi e corti legni” di cui scrisse lo storico greco Erodoto. Grazie al modello realizzato da Osvaldo Falesiedi tecnico Iveco con la passione per l’egittologia, assieme ai ricercatori del laboratorio di Ingegneria strutturale del Politecnico di Torino e al prof. Faraggiana, nel 2009 abbiamo realizzato argani lunghi 10 metri per 5 con corde di tessuto vegetale, verificando che effettivamente riuscivano nell’intento. E’ stato un successo avvallato dal prof. Silvio Curto, già direttore del Museo Egizio di Torino e da 10 anni studiato anche nelle Università di Oxford e Cambridge. Due sole persone erano sufficienti a sollevare senza sforzo un blocco pesante 9 tonnellate”.
Christian De Sica (attore, 2011)
“Nel film Amici miei. Come tutto ebbe inizio, recito con un leggero accento toscano, sono un miscuglio di Gassman e di mio padre. E’ molto più facile recitare Shakespeare: ci riesci bene anche se sei un cane; ma se devi far ridere… Qualcuno ha criticato il fatto che abbiamo toccato Amici miei, un film cult: ma pure mio padre dopo Pane amore e fantasia girò Pane amore e Andalusia e poi venne rifatta pure la Ciociara, ma io mica ho detto nulla! Ti racconto un aneddoto: nel film c’era un bello scherzo che avrebbe dovuto fare Michele Placido, ma mi era piaciuto così tanto che gliel’ho rubato. Michele non lo sa, non dirglielo”.
Massimo Ghini (attore 2011)
“A proposito degli scherzi fatto in questo film Amici miei. Come tutto ebbe inizio, ricordo quelli che con gli amici a Roma facevo da ragazzo: salivamo sull’autobus con una valigia che tenevamo nascosta e poi alla fermata scendevamo di corsa fingendo di aver rubato una valigia, lasciando spiazzati e preoccupati i passeggeri. Durante le riprese a Certaldo ci siamo imbattuti nel matrimonio di una coppia texana che, vedendo tutte quella gente in costume rinascimentale, hanno creduto fosse un omaggio che la città rivolgeva a loro”.
Paolo Hendel (attore, 2011)
“Monicelli diceva che la vita è un balocco; lui che era anche giustamente impegnato politicamente, voleva dire che non bisogna prendersi troppo sul serio. Il cinema in fondo è un balocco. Pochi mesi fa sono andato a trovarlo: gli chiesi se andava bene fare questo film e lui, a me e a Parenti, disse di sì perché l’importante è far ridere. Anche i miei primi due Amici miei, commentò, non sono stati capolavori, ma hanno funzionato”.
Neri Parenti (regista, 2011)
“La sceneggiatura di Amici miei. Come tutto ebbe inizio risale a 15 anni fa e doveva essere il seguito dei film di Mario Monicelli. Ma non aspettatevi collegamenti alla fortunata serie e non cercate analogie tra quelli e i nostri personaggi. Per le riprese ci hanno dato accesso a sale vietate al pubblico, come quella dei gigli in Palazzo Vecchio; e ho potuto aprire la porta del Ghiberti che si può toccare una sola volta al giorno per non rovinarla. Abbiamo girato nella sala degli affreschi di Cimabue, nel Cortile del Bargello, sotto il campanile di Giotto, hanno chiuso per noi San Geminiano, abbiamo riempito di terra, asini e cavalli la piazza di Pistoia. Nelle riprese faticavo ad avere tutti e cinque i protagonisti nella stessa inquadratura: avevano i costumi troppo ingombranti. Ad un certo punto Panariello e Ceccherini, tutti bardati coi loro costumi, si son messi a farsi fotografare dai turisti giapponesi… e si facevano pagare!”.
Luigi De Laurentiis (produttore, 2011)
“Nella produzione di Amici miei. Come tutto ebbe inizio abbiamo investito 10 milioni di euro, impegnando 4.000 comparse, ricostruendo a Cinecittà 20.000 mq della Firenze rinascimentale. Le riprese sono iniziate il 26 aprile 2010, giorno del compleanno del regista, e sono finite in giugno. Tutto in presa diretta, come usa ormai da tempo per avere un audio più realistico: in doppiaggio si è fatto solo qualche ritocco”.
Michele Placido (attore, 2011)
“Il mio personaggio del film Amici miei. Come tutto ebbe inizio, è un politico che si sollazza col gentil sesso e questo richiama recenti fatti…, Tra i tanti scherzi pure io ne sono caduto vittima durante i due mesi di riprese: sul set mi han dato un beverone che mi ha fatto correre al cesso…”.
Vanessa Incontrada (attrice, 2011)
“Sto girando un film italiano di cui sono la protagonista. Non so perché, solo in Italia c’è tutta questa segretezza, ma mi hanno raccomandato silenzio assoluto” dice, annunciando poi la ripresa di “Scherzi a parte”. “Il Veneto? Lo conosco poco, ci sono stata per il Festivalbar e ho girato anche per Padova, ma non chiedetemi le vie… Io vivo in Toscana tra le colline e il mare, ma devo dire che il vostro dialetto assomiglia molto alla mia lingua, il catalano”. E, neanche a farlo apposta, una fan attempata le si rivolge con naturalezza nell’idioma patavino: “Vara che bea che a sé, come in television, è brava anche quell’altra (la Cortellesi, ndr), ma siamo abituati a lei!”. Vanessa sorride, ringrazia e tiene le ultime parole per dire che oltre a cinema, tv, teatro, fa la mamma ed è al suo piccolo Isal di due anni e mezzo che sempre rivolge l’ultimo pensiero della giornata.
Rosario Priore (magistrato, 2010)
“L’antefatto della strage impunita del 1980 sul cielo di Ustica sta in quel golpe dell’allora capitano Gheddafi, progettato in un hotel di Abano Terme assieme a uomini dei servizi segreti italiani e mal digerito dagli inglesi prima e dai francesi poi, i quali con la fine della dinastia libica di re Idris persero la loro influenza su Libia e Ciad”.
L’ex presidente della Repubblica Cossiga ha accusato i francesi di aver lanciato un missile per colpire l’aereo che portava Gheddafi a Varsavia. “Quando il pilota si accorse dell’errore si tolse la vita” racconta il giudice Priore, che ricorda: “Sappiamo con certezza che quella sera il volo del dittatore libico, all’altezza di Malta deviò a destra tornando a casa. E’ possibilissimo che i servizi italiani, abbiano avvisato del piano il colonnello”.
Antonia Arslan (scrittrice, 2008) 
“Apro gli occhi, sono in ospedale, a New York. Ho i polsi legati. Sento che tutti parlano veneto, la radio pubblicizza un supermercato di Jesolo. Che strano! Sono in America per presentare il mio ultimo libro in tre Università… Poi vedo mia figlia: mi dice che mi trovo a Padova in rianimazione, in coma da otto giorni, per setticemia. Io non posso risponderle perché ho un tubo in gola e i muscoli ancora tutti bloccati. E’ angosciante, nessuno può capirmi”.
Sono i primi ricordi di questa brutta esperienza che Antonia Arslan, scrittrice padovana autrice del romanzo La masseria delle allodole, da cui i fratelli Taviani han tratto l’omonimo film sul genocidio degli armeni, condivide con noi. “Il coma farmacologico non mi ha fatto vedere tunnel di luce- spiega- mi ha invece lasciato una grande lezione di vita: ho capito che basta un niente e tutto ti si capovolge. Mi ha insegnato che possiamo sempre cambiare, anche se per farlo serve un evento forte… Ti rendi conto che qualcosa e qualcuno ti hanno aiutato in un modo misterioso: medici e infermieri innanzitutto; poi i miei cari e i tanti lettori e amici che si sono fatti vivi da tutto il mondo”. Ricorda che anche suo nonno, a cui deve la vita, era infermiere in quello stesso ospedale prima di diventare chirurgo.
Antonia Arslan è di Padova, ma le sue radici, che l’hanno spinta ad abbandonare anzitempo la cattedra di Letteratura all’Università di Padova per diventare autrice di romanzi, sono armene. “Dovevo farlo, dovevo parlare di mio nonno tredicenne scappato dalla Turchia e raccontare la storia della mia gente perché non andasse perduta”. E’ figlia di quel popolo che con dolce locuzione definisce mite e fantasticante; e ascoltandola parlare nel circolo culturale da lei fondato (Casa di cristallo), con grande soavità anche delle vicende più crude, si capisce che la sua è proprio un’anima armena. Come armeni sono i ricordi che partono dal suo cognome Arslanian, de-armenizzato dal nonno nel ‘23. Lo stesso nonno che nel 1915, esule in Italia, ebbe salva la vita dall’entrata in guerra dell’Italia: le frontiere vennero chiuse e non poté recarsi in visita ai parenti in Turchia. La sua famiglia finì falcidiata dalle scimitarre delle guardie di Talaat Pascià, il ministro dell’interno, pianificatore del primo genocidio del XX secolo, con cui l’Impero Ottomano cancellò un milione e mezzo dei due milioni di armeni che vivevano nel paese. Chi non rientrava nella contabilità dei morti che il ministro diligentemente annotava in un quaderno ritrovato e pubblicato due anni fa, fu ucciso dai curdi a cui era stata lasciata carta bianca in cambio di territori. “A questa pulizia etnica – spiega la scrittrice – Hitler si ispirò: Possiamo fare quel che vogliamo: chi si ricorda più del genocidio degli armeni? Disse in sei discorsi fatti nel ’39 ai suoi collaboratori. Presero i fuggiaschi e l’Eufrate si riempì di cadaveri; altri finirono in un lager nel deserto siriano dove li sterminarono con un rituale usato poi nelle foibe jugoslave: gettati nelle caverne e bruciati”. Non per odio religioso, sostiene Arslan, ma per eliminare le culture diverse. Ne parlano nel docu-film Hushèr (Memorie) di Avedis Ohanian, padovano d’adozione, primo premio nel 2008 al New York Independent Film e al Video Festival di Los Angeles, cinque sopravvissuti, presentati da Antonia Arslan e Levon Zekiyan docente a Ca’ Foscari. Non c’è odio nelle parole della romanziera, ma paura che la storia possa ripetersi. L’autrice di La strada di Smirne (che è il seguito di La masseria delle allodole), ha in programma un terzo romanzo: “Sarà il più difficile perché parlerà di me. Ma sto anche pensando di scrivere di quest’ultima esperienza che mi ha obbligata a riflettere profondamente sul senso della vita”.

Claudia Cardinale (attrice, 2007)
“Quando in Italia incontro i vù cumprà mi fermo a parlare in arabo con loro, non mi disturbano affatto”.
“L’Italia l’ho conosciuta attraverso Venezia. Avevo 16 anni e davo una mano a mamma e a mia sorella Blanche in un mercatino di beneficenza al consolato italiano di Tunisi, quando qualcuno mi tirò sul palco. Mi elessero “la più bella italiana di Tunisia” regalandomi un viaggio di qualche giorno a Venezia durante la Mostra del Cinema. I paparazzi mi saltavano addosso, poi ho capito che lo facevano perché indossavo vestiti di foggia africana e soprattutto per i miei bikini che nel ’57 erano in voga in Francia e nei suoi protettorati, ma non ancora in Italia. E poi la ressa dei produttori: sembravano tutti pazzi, mi proponevano di fare il cinema. Dopo alcuni mesi già avevo un contratto con la Vides di Franco Cristaldi ne “I soliti ignoti” di Monicelli al fianco di Gassman, Mastroianni e Totò. Da allora quattro film all’anno… ne ho girati oltre cento”.
…“E’ stato Visconti a insegnarmi a fumare in “Vaghe stelle dell’orsa”. Avevo 27 anni, mi ha mostrato come si faceva e da allora non ho più smesso”.
“Progetti? Un film inglese, due francesi e uno di Pasquale per la tv italiana: sarà la storia della mia vita. E poi come ambasciatrice Unesco per l’ambiente ho in progetto un festival musicale internazionale sulla sostenibilità dell’ambiente: si terrà in Campania e verranno Gorbaciov e Leonardo di Caprio”. (foto Michela Gobbi)
Fabio Mazzari (attore, 2007)

“Nella nuova versione di Vivere dimezziamo gli attori, da 20 a 10, torniamo in onda alle 14,45 e io cambio ruolo: da imprenditore divento primo cittadino di Como, iscritto a una lista civica bipartisan e ambientalista. Inoltre sarà la prima volta nella storia delle soap che si guarderà al passato delle puntate precedenti. Per questo la serie si chiamerà Vivere un anno dopo e ricorderemo i personaggi che abbiamo perso. Tra questi il commissario Leoni, la sua compagna Emilia, il medico Blasi con l’ex fidanzata”. “Chi recita nelle soap opera è considerato di famiglia, dalla gente. Una volta passeggiando per Milano, mi hanno fermato dicendomi: “Ma è vivo, sta bene!”. Da un mese il mio personaggio era nelle mani dei rapitori. C’è chi invia mail con suggerimenti, chi telefona a Canale 5. E poi il telemarketing della produzione testa periodicamente le preferenze del pubblico facendo cambiare la sceneggiatura a seconda del gradimento”. “Gli attori non interferiscono mai sui testi: sarebbe bello, in realtà ne parliamo a cose fatte. Gli autori fanno un solo incontro mensile…E poi di anno in anno ci dicono a grandi linee quale sarà il futuro del nostro personaggio. I copioni della settimana invece li riceviamo sette giorni prima”. “Negli studi torinesi del Canavese dove giriamo gli interni, nasce una puntata di 15 scene, al giorno: otto ore di lavoro per 25 minuti, contro le 8 ore per due minuti che servono per un film. Con l’allenamento ho sviluppato la memoria breve: imparo velocemente al mattino, poi in camerino ci raggiunge il training della memoria che ci interroga seguendoci finché raggiungiamo lo studio dove si fa la prova del movimento camere e arriviamo al ciak… E dev’essere buona la prima. La scena trasmessa ha tre mesi di vita”. (foto Michela Gobbi)
Antonio Cornacchione (comico, 2006)
“Con Adriano (Celentano, riferito al programma Realpolitik, ndr) non abbiamo concordato niente, andiamo in diretta e Celentano è speciale per metterti in difficoltà.
Non so, dirò due parole in difesa di Silvio…”. “Non mi preoccupo perché è stato Silvio a impormi nel programma: Adriano non voleva, sapeva che sono pericoloso”.“Silvio però non si è mai fatto vivo per ringraziare di tanta devozione, ma Bondi sì. Mi ha invitato a una convention di Forza Italia. Gli ho fatto capire che non era il caso, e poi quel giorno dovevo innaffiare i cactus ad Arcore. Silvio ha capito, lui tutto comprende e tutto perdona… ma nessuno capisce lui, lo stanno lasciando solo come Gesù nel Getsemani, povero Silvio!”“Quando l’Unto dal Signore non sarà più tra noi (in senso politico)… No, Lui non finirà mai. E poi un altro così… lo trovano! Comunque confido negli italiani. Da quando difendo Silvio mi è cambiata la vita: lo suggerisco pure ai disoccupati, quei sei o sette che stanno a Napoli (non bisogna essere disfattisti come i comunisti)… Lui ha cambiato l’immagine dell’Italia nel mondo: una volta, all’estero, ci ridevano dietro senza motivo… Ora ce l’hanno.” (foto www.antoniocornacchione.it)
Gip (autore- protagonista de Le iene, 2006)
“In America abbiamo fatto il reportage “Stend up”, sei mesi di lavoro dalla California al Guatemala per dieci puntate prive di censura: in camper attraverso incontri eccezionali non pianificati, in mezzo a musica, prostitute, surf, divi del rock e altro ancora. Abbiamo conosciuto Ana Guevara, la figlia del Che che vive in una tribù messicana a 4.000 metri d’altezza tagliando pietre e argento e cantando; Rodney Bingenheimer lo “scopritore” di David Bowie; i nipoti di Giacomo Matteotti, la cui famiglia minacciata dal fascismo dopo l’assassinio dell’esponente socialista era riparata a S.Diego in California dove ancora vive.
In Nicaragua abbiamo trovato Manlio Grillo, condannato a 15 anni per il rogo di Primavalle, realizzando la prima intervista tv dell’irriducibile brigatista. Abbiamo anche partecipato al più grande rave del mondo a Burning Man, il luogo che “esiste” una sola volta all’anno nel deserto del Nevada, scatenando fantasia e bassi istinti nella settimana più pazza d’America”.“La mia carriera televisiva è iniziata quando Mtv mi affidò una campagna natalizia: andò in onda il nostro Babbo Natale che vomitava e tentava il suicidio… a loro erano piaciute le nostre immagini su un viaggio a Londra in Vespa. Poi a Ibizia conobbi Andrea Pellizzari (Mr Brown delle Iene) e Davide Parenti, autore di “Scherzi a parte…””Ancora ripenso al mio amico Miki morso da una tarantola e ai due ragazzi di colore che a Los Angeles mentre uscivo in skateboard da una banca mi hanno rapinato di 2.000 dollari: mi hanno puntato una pistola, però mi hanno lasciato carta di credito e documenti. Sono stati gentilissimi”. (foto www.albertobuzzanca.net)

Lele Mora (agente dei vip, 2006)
“Cerco di far crescere bene i miei, di farli guadagnare bene e di fargli comprendere la vita”.“La sveglia è molto presto la mattina; in ufficio preparo i lavori per le mie assistenti. A pranzo con giornalisti, direttori di rete, artisti, clienti che vogliono promuovere i loro prodotti… Va detto che molti artisti vivono nel mio stesso palazzo…La sera teatro, cene… Si torna a notte fonda”.“Distinzioni tra i miei? No, sono tutti uguali, più o meno famosi. Se la stampa l’aiuta ecco che nasce l’artista dell’anno. Ogni anno al Telegatto è qualcuno dei miei a vincere”.“Certo qualche volta ho sbagliato a puntare su qualcuno…”“Tornerei a fare i grandi varietà che hanno fatto il mercato”.“Io sono originario di Bagnolo di Po in provincia di Rovigo, dove torno almeno cinque volte l’anno a trovare i miei. Mi piacerebbe far dare le chiavi della mia città ai Savoia: Marina, Vittorio Emanuele e Filiberto”.
Stefania Craxi (parlamentare, 2006)
“Continuo la mia battaglia politica; denuncio quello che ancora avviene… Bancopoli fa impallidire Tangentopoli. Ciò che mi ha fatto più male nella vicenda di mio padre è il senso di ingiustizia patito. Mi hanno aiutato invece i riconoscimenti che hanno cominciato ad arrivare. Vecchi amici tornati? No, ho mantenuto solo i pochi veri di sempre. Della classe politica di allora non posso che avere un pessimo giudizio”. “E’ vero, nel mio libro non risparmio nessuno, neanche gli alleati di oggi come Storace, che quand’era presidente della Commissione Vigilanza Rai ricevette per un possibile lavoro come regista Ilaria Cirino Pomicino, figlia del parlamentare inquisito: …Gli consegno il mio curriculum- racconta lei- mi guarda serio e dice: E’ meglio che cambi cognome!”
Cino Ricci (skipper, 2005)
“Luna rossa ce la sta mettendo tutta: i 40 milioni di euro di Telecom hanno dato respiro alla progettazione di due nuove barche e ora si va verso un duro allenamento… L’equipaggio migliore? E’ quello che ha anche la barca migliore perchè i suoi uomini sanno comunicare ai progettisti le modifiche più importanti da apportare.”“Il Mediterraneo? Il mare europeo è uguale agli altri, anche se a volte l’anticiclone delle Azzorre fa brutti scherzi”.“A proposito di scherzi, anche se mi considero spiritoso rido poco delle imitazioni di Teo Teocoli: un giorno lui mi telefonò per dirmi, non ti preoccupare, ti farò bene; purtroppo ha riso tutta Italia tranne il sottoscritto”.
Altero Matteoli (ministro dell’ambiente, 2005)
“Il colpevole numero uno dello smog è il traffico. Non possiamo però obbligare i cittadini a lasciare l’auto a casa. Piuttosto dobbiamo mettere le amministrazioni locali in condizione di dotarsi di parcheggi e servizi pubblici efficienti”. “Sul che fare c’è intesa con l’ANCI, quel che manca sono i soldi”.“A proposito di traffico ricordate però che finché le centraline vengono collocate vicino ai semafori il risultato è negativo!”
“Rispetto al nucleare la risposta si avrebbe a 10-15 anni e noi dobbiamo risolvere il problema energetico in tempi brevi”“Per Marghera siamo nelle condizioni di cominciare a risolvere il problema utilizzando tecniche moderne”. “Parlando di risorse idriche va detto che la legge Galli del ’94 non ha trovato ancora completa attuazione e per questo invito tutti (atenei, consorzi di bonifica, agricoltori, organi di controllo) a coordinarsi per un efficace impiego delle risorse idriche”. “Ma ho la netta impressione che il mondo accademico, che poco collabora, resti chiuso in se stesso. Tuttavia senza gli atenei il ministero non può prendere decisioni”.“Anche l’Italia, con altri 179 paesi ha preso l’impegno di dar da bere entro il 2015 a un miliardo di assetati”.
Carlo Nordio (pubblico ministero, 2005)
“Parlando di presunta malasanità, ci si pensa mai al danno permanente all’immagine del medico colpito da avviso di garanzia? E’ un atto dovuto, che coinvolge quasi sempre l’intera catena sanitaria: dall’infermiere all’autista dell’ambulanza, dal medico al chirurgo, all’anestesista…”
Sul monumento Memoria e luce- World Trade Center Memorial di Padova (2005)

Vittorio Sgarbi (critico d’arte, 2005)
“Così vicina alle mura del Cinquecento, l’opera manda in corto circuito il sistema. L’avrei collocata al posto del ridicolo mosaico in largo Europa! Ma poi che c’entra Padova con l’11 settembre? Se i padovani si occupassero di Sant’Antonio sarebbe meglio”.
Paolo Portoghesi (architetto, 2005)

“Purtroppo non l’ho visto, ma francamente non capisco perché farlo a Padova. Un gesto d’amicizia verso l’America è sempre valido, tuttavia assistiamo all’ennesima invasione di architetti stranieri. L’”archi-star” serve solo a farsi pubblicità, ma non migliora i gravi problemi di cui sono afflitte le nostre città che restano meno vivibili di dieci anni fa. Certo Libeskind è di indubbio valore, specializzato nel celebrare tragedie: ma se con il museo ebraico di Berlino ha risolto molto bene il tema della Shoah, poi rischia di ripetersi. L’opera contiene una putrella d’acciaio delle due torri? Beh, siamo al culto delle reliquie!”
Philippe Daverio (critico d’arte, 2005)
“E’ la solita moda dei Comuni che chiamano architetti di nome per far cose generalmente molto brutte. Il monumento l’ho visto in foto e mi pare orribile. Avrei messo piuttosto una targa commemorativa. E poi collocarlo attaccato alle mura é un errore e una mancanza di sensibilità. Anzi, una seconda violenza alla città, perpetrata utilizzando la memoria dei morti”.
Piero Buscaroli (critico musicale, 2004)
“La musica della civiltà europea è morta. Io vi lascio un cadavere ben sistemato”. “Io stesso rido del fatto che sia un italiano a scrivere di un tedesco, ma ho sempre amato tanto
la Germania e Beethoven in particolare, da almeno 65 anni”.“La sua sordità? Ma quella fu la sua fortuna! Grazie a Dio non ci sentiva. Se non fosse stato sordo sarebbe diventato un Mozart. Il lago intatto dell’armonia separata dal mondo lo spinse verso l’armonia di una musica nuova”. “Si accusava e si assolveva. Devi scrivere come sai, da sordo, si diceva. Tuttavia si lagnava molto, come gli artisti in genere e i musicisti in particolare: quell’orecchio murato era per lui un martirio. Ma ciò che gli serviva l’aveva dentro, il resto lo buttava e così andava avanti instancabilmente.”“Ci ha lasciato una sola opera perché odiava il melodramma: considerava stupide le opere e lui che aveva orrore per il romanticismo che riteneva cretino, si piegò a scrivere un’opera e pure le messe che non gli piacevano. Altrimenti non sarebbe stato ritenuto un vero musicista, ma un quartettista, ciò che Verdi diceva di Mozart”. “Beethoven era un anti illuminista, che nel Fidelio mise a Robespierre i panni del sanguinario che voleva la morte di Florestano. I direttori d’orchestra tacevano, ma l’hanno sempre saputo”. “Sono solo perché ho emarginato la cultura corrente”.
Francesco Guccini (cantautore, 2004)
“Uso moltissimo le rime, amo caricare le parole di significati e di significanti, la poesia è molto ambigua, si sposta come corde di simpatia…in uno strumento a corde”. “Poeta? No grazie. Scrivo canzoni, la tecnica è diversa, quindi non ditemi poeta, e poi non sono neanche un grandissimo musicista.
La rima di cui vado più fiero è Jukebox fa rima con Fox.”“Il libro a cui è più legato? Pinocchio, la mia prima lettura di bambino. Ora che ascolto molta meno musica di un tempo leggo più di prima e se dovessi scegliere tra smettere di fumare o di leggere non avrei dubbi”.“Che canto in casa? Di certo mai La locomotiva, e nei concerti sono riuscito a eliminare L’Avvelenata… Non ne potevo più”.“Ho fatto tutti gli esami e pensavo che aver scritto il dizionario di dialetto pavanese bastasse come tesi…Comunque mi hanno laureato per davvero all’Università di Bologna nel 2003 con la laurea honoris causa: avrei preferito uno straccetto in Lettere invece che in Scienza della Formazione e Comunicazione…Non so neanche dove l’ho messa”.“La mia barba sarebbe nerissima, ma la tingo di bianco per darmi un tono…” (foto michela gobbi)
Margherita Hack (astrofisica, 2004)
“La riforma Moratti sta distruggendo l’Università: prospettare ai neo laureati 9 anni di precariato significa incoraggiare la fuga dei cervelli. Abbiamo mille ricercatori che hanno vinto il concorso e aspettano un posto.
L’incompetenza del governo potremmo anche perdonarla, l’arroganza no: non ascoltano chi di scuola ne capisce qualcosa. Di scandali ce n’è così tanti…condoni, attacchi alla giustizia, distruzione della Costituzione. Una tragedia.”“In Italia si studia poco le scienze: portiamole alle elementari attraverso l’osservazione dei fenomeni semplici e consentiamo che nelle medie si usino i laboratori. Positive le esperienze della Città della scienza di Napoli e Genova e di Trieste con L’immaginario scientifico: spazi così servirebbero in ogni regione”.“Come mi mantengo in forma a 82 anni? Facendo una vita sana e mangiando vegetariano, andando in bicicletta e giocando a pallavolo. Del resto da ragazza a Firenze vinsi due campionati universitari di atletica nella Giglio rosso.”
Giuliano Urbani (ministro Beni culturali, 2004)
“Siete illusi se pensate che lo Stato possa mantenere tutte le dimore storiche. Col nostro debito pubblico non si può pretendere di più. A meno che a questo importante patrimonio artistico non si trovi una funzione”. “Sviluppo del turismo culturale verso cui l’economia nazionale deve puntare sopra ogni cosa, ecco la funzione che dovete cercare”.
“Dopo la prima esperienza al Museo Egizio di Torino, il Veneto potrebbe essere una regione pilota in materia, con fondazioni di cui i proprietari (che restano tali rispetto al bene di loro pertinenza) sono soci per i soli aspetti gestionali”. “Turismo di massa quindi? Neanche per idea. Serve una selezione che garantisca il rispetto delle opere”.“Qualcuno in Europa ci contesta dicendo che facciamo troppo poco per le vostre dimore storiche! Guardassero in casa loro. Chi ha un patrimonio architettonico così nutrito nel mondo? Più di 50.000 tra ville, oratori e giardini storici”.

Daniele Luttazzi (comico, 2003)
“A Milano c’è così tanta nebbia che la gente fa fatica ad accoltellare i familiari”.“Per risanare il deficit al governo bastano una banconota e una fotocopiatrice”. “Per far quadrare il bilancio dello Stato Tremonti va spesso all’ippodromo…” “Sono battute che vorrei poter dire in tv, ma non è più possibile, sapete com’è…
la Casa delle libertà…”.“E a sinistra? Non capisco D’Alema, Emilio Fede lo considera l’uomo più capace dell’Ulivo…Fossi in lui qualche interrogativo me lo porrei”.“Perché Bush fa guerra all’Iraq? Ci sono tanti motivi, ma il principale è che dà fastidio come l’Iraq è diviso in sillabe. Ma io credo sia perché quando un presidente americano viene eletto, i generali lo portano subito in una saletta per proiettargli il filmato dell’omicidio Kennedy. Ripreso da un’angolazione mai vista prima”.Giornalisti poco inclini alla critica, come Costanzo e Vespa. “Urge una legge che limiti tanta esposizione televisiva: il primo sta in video 1200 ore l’anno, ma questa è bulimia catodica! E sua moglie? Una ballerina intrappolata nel corpo di un tronco. La bravura è del regista che passa rapido da un’inquadratura all’altra, così sembra che lei si muova”. (foto roberto brumat)
Mino Damato (giornalista, 2003) 
“Nel Veneto, a Monselice in particolare, ho trovato un aiuto fondamentale per i miei ragazzi. Sono ragazzi che ho trovato nel ’90 nel padiglione B1 dell’ospedale Babes della capitale rumena. Essendo sieropositivi erano praticamente abbandonati e in condizioni igieniche terribili: tutti orfani, in alcuni casi neonati, dormivano gli uni accanto agli altri, a volte sui sacchi della spazzatura, in mezzo ai propri escrementi, o legati ai letti; guardati da poche infermiere, forse le stesse che li avevano infettati praticando a tutti le iniezioni con la stessa siringa. Vederli fu uno choc, come scoprire che non conoscevano la differenza tra un bicchiere e un tazza perché non avevano mai visto né l’uno né l’altro!A loro sono arrivato casualmente come avviene sempre nella vita. Quando nell’89 cadde il regime Ceausescu e il mondo scoprì i suoi terribili retroscena, anch’io come altri mandai degli aiuti, ma mi resi presto conto che niente arrivava a destinazione. Avevo visto su Gente il servizio di un fotografo francese sui bambini di quell’ospedale e mi avevano colpito in particolare gli occhi di una bambina che guardavano al di là della macchina fotografica, oltre. Erano gli occhi di Andreia. Sono partito per cercarla e quando l’ho trovata ne ho ottenuto l’affidamento portandola a vivere con me e mia moglie, in Italia. Poi purtroppo, una dopo l’altra, se ne sono andate.Già quando ho strappato Andreia da quell’inferno mi sono reso conto che ne salvavo una e me ne lasciavo alle spalle altri 99 e quello è stato per me insopportabile. La nostra professione ci porta ad essere cinici, ma credo che di fronte alla morte e al dolore un giornalista sia prima di tutto un uomo”.“Da inviato speciale in Vietnam, Cambogia, Afganistan, ricordo soprattutto storie di bambini, drammi che mi hanno ferito profondamente perché non avevo potuto aiutarli. C’è un episodio che mi fece molto riflettere. Nel mezzo di una guerriglia tra Etiopia, Somalia e Kenya mi imbattei in una bambina curata dalla missionaria laica Annalena Tonelli. Era cieca per mancanza di vitamine, così istintivamente affittai un piccolo aereo per mandarla a curare a Nairobi. Dopo un anno tornai a trovarla: ora ci vedeva, anche se soltanto ombre. Poi però mi chiesi se avevo fatto veramente il suo bene o se le avevo solo dato la speranza di una vita che migliore non era… Vidi dove viveva, con la nonna, sotto le frasche tenute su da bastoni, loro due da sole in mezzo alla savana popolata dai leoni. Allora capii che non si poteva aiutare qualcuno a metà”.“Tornando alla Romania…Entrare in contatto con quegli orfanelli sieropositivi mi ha spinto a fare di più. Ho saputo poi che il regime invitava le ragazze madri a partorire e ad abbandonare i neonati negli istituti: il dittatore- due lauree honoris causa ricevute a Bologna- diceva che quelli erano figli suoi e probabilmente li voleva per indottrinarli: i nostri bambini erano ancora troppo piccoli per fargli il lavaggio del cervello, anche se comunque sono stati istituzionalizzati. I medici (non solo quelli rumeni) dicevano che entro il 2000 sarebbero morti tutti. Così sono tornato, prima che mia figlia se ne andasse: la morte di Andreia non ha aggiunto niente e io non cerco lei in loro, perché una cosa è la mia vita privata e un’altra l’impegno che mi sono assunto”.“La mia fondazione Bambini in emergenza ha creato una struttura ospedaliera. Abbiamo una scuola nell’ospedale, abbiamo Casa Andreia proprio lì dove incontrai i primi ragazzini, con gabinetto di stomatologia e odontoiatria, palestra per riabilitazioni e farmacia; e a 40 km da Bucarest abbiamo il centro pilota di Singureni per la cura e l’assistenza e la ricerca per orfani colpiti dall’HIV. Contiamo anche di favorire la formazione professionale dei più grandi e di agevolare il contatto con gli animali e con il lavoro dei campi.E per dimostrare che volendo si può, la Fondazione ha vinto una scommessa proprio nella civilissima Roma. Il policlinico Umberto I aveva in programma la costruzione di un nuovo padiglione da 12 stanze: costo preventivato tre miliardi e mezzo di lire, tempi di attuazione tre anni. L’abbiamo fatto noi con 144 milioni, arredi compresi, in 34 giorni. Sono questi bambini ad averci insegnato a non perdere tempo”.“Smettere di fare il giornalista ha creato forse il vuoto attorno a me. Anch’io diffido delle grandi scelte, a meno che non si tratti di santi o di missionari. Credo di aver superato il limite: uno scrittore queste cose le racconta, non le fa. Ho rotto invece questi tabù…”“Ti racconto un altro episodio, la mia più breve intervista. Avevo invitato su Raitre a “Alla ricerca dell’arca” una ragazza siciliana violentata da venti coetanei. Lei ha esordito dicendo “La mia vita è finita in quel momento” e io lì ho chiuso quell’incontro. Cos’altro potevo dire? Molti anni prima, durante la guerra d’indipendenza del Pakistan orientale giravo in un campo profughi quando vidi un bimbo che stava morendo. Potevo forse continuare a filmare? E’ meglio documentare per far sensazione o fare il possibile per salvare una vita? Un medico disse che una bombola d’ossigeno l’avrebbe salvato, ma all’ospedale non me la vendevano perché l’avevo chiesta per un profugo, così dissi che serviva a mio figlio e la ottenni. Quando tornai il bambino era già morto”. (foto roberto brumat)
Elisabetta Gardini (attrice, 2003) 
“E’ stato Gassman a scoprirmi. Andai da lui a Padova per un provino, poi a Firenze dove frequentai la sua Bottega. Quindi arrivò l’offerta di seguire Albertazzi per due stagioni da Lugano alla Sicilia. Quello fu il mio vero debutto teatrale, con l’”Enrico IV” di Pirandello dove interpretavo Frida. Secondo Giorgio sono stata l’ultima attrice a debuttare con un classico in una tourné impegnativa di 8 mesi: oggi non se ne fanno più di così lunghe”. “Albertazzi aveva una regia tv, io ero in montagna con i miei, attesi troppo e quando lo chiamai aveva già trovato un’altra. Però mi indirizzò sull’ultima serie Rai di “Prove in diretta”. Quando mi presentai il cast era già stato chiuso, ma il regista mi inseguì in corridoio: cercava una bionda. Ebbi una parte nella commedia in diretta che Adolfo Celi e Paola Pitagora recitavano all’interno di “Blitz”; poi vennero programmi per ragazzi, tre anni di conduzione di “Domenica in” e dieci anni di sole conduzioni televisive con qualche pausa per il teatro estivo”. “Gli attori che preferisco? Sergio Castellitto. Giorni fa a San Giovanni Rotondo mi han raccontato che quando recitava lì nel ruolo di Padre Pio la gente credeva che il santo fosse ancora vivo. Mi piace molto anche Franco Castellaro”. “Che dire dei giovani attori? Ci sono tantissimi disperati che cercano di farsi strada; per molte ragazze arrivare a fare la velina è il massimo. Abbiamo un prezioso patrimonio di giovani attori che però sono costretti ad abbandonare, e altri senza qualità disposti a fare di tutto pur di farsi vedere in tv. Il guaio è che in Italia manca un Actor Studio e la tv dà l’illusione che sia sufficiente apparire per avere successo: vedi “Grande Fratello”. Eppure è un fenomeno passeggero. La gente al mercato mi ferma per dirmi: “Diteglielo che non se ne può più”. Poi ci sono le trasmissioni con gente comune, vera o finta che sia. Io trovo sia tutto assolutamente finto, perché comunque quando hai una telecamera puntata davanti non puoi essere spontaneo. La televisione insomma è meglio lasciarla fare ai professionisti. Altrimenti diventa una lavatrice”.
Roberto Citran (attore 2002)
“Sono contrario all’uso e abuso che i comici fanno della televisione e non mi piace il successo esagerato: è vero che se non appari in tv non esisti e quindi non lavori, ma ci sono attori che spesso superano ogni limite. Il comico diventa scrittore e pure opinionista: ora ce ne sono di veramente bravi, ma altri che oltre la battutina non sanno andare!” “I comici che mi piacciono? Non faccio nomi, sono tre o quattro; gli altri cavalcano l’onda o si buttano sulle imitazioni peccando di scarsa originalità. Purtroppo la televisione sta uniformando sempre più il gusto del pubblico: è un enorme supermercato. E poi mi danno fastidio quelli che usano la propria immagine per far politica. Sono però convinto che la funzione del comico è quella di cogliere con la sua arte gli aspetti ridicoli della vita: quando fa un uso improprio del suo ruolo per accaparrarsi il pubblico, allora mi dà fastidio. Diventa malafede, una forma di pornografia”.“Luttazzi? Daniele ha pagato del suo una coerenza che ha portato avanti fino alla fine senza guardare in faccia a nessuno”.“Cosa penso della televisione? E’ un mezzo così accomodante che ti accompagna verso l’ottusità. Quando si guasta tu riprendi finalmente a vivere”.

Ilaria D’Elia (attrice, 2002)
“Lasciare a 18 anni la provincia italiana e riuscire, nove anni più tardi, a recitare come unica attrice italiana nientemeno che in un film diretto da Martin Scorsese, fianco a fianco con divi di Hollywood come Cameron Diaz, Leonardo Di Caprio e Daniel Day- Lewis. Sembra una favola, ma è stato proprio così, grazie alla mia partecipazione come la poliziotta Laura in due serie del telefilm per la tv “La Squadra”, mandato in onda da Raitre e poi grazie al film di Raiuno “La farfalla nel cuore”.“Imbarazzo a lavorare fianco a fianco con i miti di Hollywood? Assolutamente no perché ho avuto subito la piacevole sorpresa di scoprire che gli attori del cast di “Gangs of New York” sono estremamente professionali, ma anche simpatici e affabili. Non ho mai assistito a divismi, né a bizze o litigi. La mia buona padronanza dell’inglese poi mi ha facilitato moltissimo nei rapporti personali”.“Le riprese durate sei mesi mi hanno impegnata 67 giorni e durante le pause romane… Beh, essendo diventati subito amici, io e Cameron abbiamo fatto gruppo. E’ una ragazza molto genuina, davvero una bella persona con un fantastico senso dell’humor: le piaceva organizzare e così ci si ritrovava la sera a cena, si andava alle feste. Naturalmente quando potevamo, perché spesso ci si doveva svegliare alle 4 di mattina!“Scorsese è un intoccabile, un visionario fantastico. E’ un direttore molto presente sul set. Lui lascia molto spazio espressivo all’attore, ma spiega anche con grande accuratezza quel che vuole. Di Caprio l’ho trovato molto simpatico ed estremamente professionale; d’altra parte sul set la concentrazione era massima”.
Diego De Leo (presidente Association for Suicide Prevention, 2000)
“Un suicidio ogni 40 secondi nel mondo. E’ tra le principali cause di morte nel mondo per le persone tra i 15 e i 45 anni, ma la fascia più colpita è quella tra i 35 e i 44 anni.
Al primo posto per suicidi c’è l’Unione Europea. Colpisce le donne soprattutto in Cina (17,9 su 100.000). L’Italia occupa l’11° posto in Europa. Ma va detto che i tassi di suicidio sono più elevati nei paesi in cui la religione è stata più fortemente contrastata dallo stato; seguono quelli di fede orientale e i paesi protestanti, mentre tra i musulmani il fenomeno è scarsamente presente”. “Tra le cause dei suicidi le turbe psichiche rivestono un particolare peso, assieme ad alcolismo e abuso di stupefacenti”.

Denny Mendez (Miss Italia, 1996)
“So di non rappresentare la bellezza italiana, ma la bellezza e basta. Sì, mi piacerebbe sfilare per Armani e Dolce & Gabbana, ma per il momento ancora nessun contatto. Neanche per un film. Ci penso, anche se non ho una buona dizione”.“Nuovi ammiratori? Sono rimasta la ragazza di sempre… Mi scrivono in tanti: lettere di complimenti e qualche critica. Niente razzismo però… Magari mi telefona Bossi… ancora non si è fatto vivo”.
Paolo Crepet (psichiatra, 1995)
“E’ l’amore per il rischio estremo in assenza di valori positivi a spingere alcuni ragazzi a impugnare una pistola per diventare magari assassini di professione. Me lo raccontano con incredibile naturalezza dei giovani incontrati nelle carceri minorili, sulle strade, nelle comunità”.“Queste vittime del vuoto e dell’incomunicabilità, vedi la sala giochi simbolo della solitudine, sono incapaci di capire le regole e distinguere il bene dal male, perché non lo sanno fare i loro genitori con i quali non condividono nulla nella scarsa frequentazione quotidiana. Ecco allora la ricerca di un altro padre che segni la strada; e quando non si trova convincente lo Stato o il gruppo, ci si affida ai clan in assenza di una scuola capace di insegnare i sentimenti”. Se viviamo in una società dei senza padre lo dobbiamo anche alla tv e a tutti i falsi limiti che dopo gli anni ’60 hanno reso i figli molto diversi dai loro genitori di quanto non fosse prima”.
Claudio Sartori (artigiano sequestrato dall’Anonima, 1991)
“…Nelle prime ore di tragitto sono rimasto svenuto; poi ho sentito che ci si fermava a far rifornimento di nafta con le taniche che avevano con sé. Altre volte hanno fatto marcia indietro per disorientarmi… Non si impietosirono delle mie lamentele per le ferite (nella colluttazione aveva riportato la rottura di sei costole e la lesione irreversibile di due vertebre cervicali, ndr) e per il freddo che mi faceva battere meccanicamente i piedi contro la carrozzeria e aprirono il bagagliaio solo molte ore più tardi. Seppi dopo che dalla provincia di Padova mi avevano portato nel golfo di Napoli, a Gragnano”.“…Poi mi indossarono un cappuccio introducendomi in un minuscolo ambiente. Quando potei guardare vidi un materasso lercio sul fondo di una spessa cassa di legno alta due metri, lunga altrettanto e larga un metro. Sopra di me una debolissima lampadina appesa a un filo e accanto un secchio per i bisogni. Al soffitto un tubo per l’aria. Nient’altro”.“Le catene con due grossi catenacci con cui era sprangata la porta della cassa furono leggermente allentate solo quando si convinsero che mi mancava l’aria: rimase così aperto un piccolo spiraglio che non mi consentiva di guardare fuori”.“… Poi una sera mi rasarono la barba e mi misero in mano un quotidiano per scattarmi una foto come si usa in questi casi. Iniziò quindi la trafila delle lettere. Ero libero di mettere sulla carta i miei pensieri, restando entro certi limiti imposti, mentre altre volte erano loro a dettare e in ogni caso stracciavano le frasi personali facendo poi trovare ai miei figli in diverse località italiane solo alcuni brandelli di quegli scritti. Non sentivo mai la loro voce perché la camuffavano turandosi il naso. Mancavano del tutto i punti di riferimento geografici anche se, nonostante passassi solo mezz’ora al giorno fuori dalla cassa, un’aria sottile mi diceva che mi trovavo in prossimità del mare. Per il resto gli unici suoni esterni erano le urla della gente e dei venditori ambulanti”.“Il tempo non passava mai (20 giorni di rapimento, ndr) così ottenni di riavere il mio orologio che mi servì a dominare i nervi. Mi obbligai a guardarlo non più di una volta all’ora imparando ben presto a riuscirci”.“Ogni giorno dovevo subire una specie di lavaggio del cervello: “I tuoi ti hanno abbandonato e non vogliono pagare i due miliardi” dicevano. Sentivo invece che i miei figli si stavano comportando esattamente come volevo io”.“Negli ultimi giorni fui colto da tre collassi per lo stress delle continue minacce. Anche se ero convinto che non mi avrebbero ucciso, non riuscivo a scacciare quel terribile dubbio…” “Poi due ore in autostrada legato e bendato, poi all’una di notte mi lasciarono su una strada secondaria. Restai così, incappucciato fino alle due quando mi sentii chiamare dal mio amico, seguito da centinaia di poliziotti”.

Rita Levi Montalcini (premio Nobel, 1990)
“In quanto donna non mi sono mai sentita discriminata nella carriera. Direi che per un puro caso ho lavorato in passato più con gli uomini, mentre da qualche anno la situazione si è capovolta quando nel campo della ricerca si sono affermate molte giovani donne di alto valore, entrate nel mio gruppo di lavoro”.“Ripensando ai miei inizi devo dire che sono cambiate molte cose. Io oltretutto provengo da una famiglia vittoriana dalla quale mi sono staccata molto tardi, a 34 anni dopo aver vissuto la persecuzione razziale e dopo la laurea. L’educazione ricevuta da bambina era molto diversa da quella dei giorni nostri e il ruolo della donna rientrava nel solito cliché. Solo a 38 anni mi sono trasferita per studio negli Stati Uniti dove ho vissuto i primi 15 anni stabilmente inserita in quella realtà professionale ed i successivi 15 facendo la spola con l’Italia”.“Direi che negli Usa il rapporto tra i sessi non è diverso da quanto avviene in Italia. Non posso dire che la donna viva meglio là, direi quasi il contrario”.

Maurizio Costanzo (giornalista, scrittore, 1990)
“Non è per snobismo che Gianni Agnelli ha rifiutato a più riprese i miei inviti a partecipare come ospite al Costanzo show: ma per una questione di temperamento… E poi avrebbe troppe cose da raccontare”.“Tra i miei ospiti più difficili ricordo Gian Maria Volonté, tristemente ammutolito”.“I criteri su cui basiamo le scelte sono semplici: andiamo per analogie e per contrasti”.“Nessuna ingerenza e nessuna censura in tutti questi anni. Berlusconi mi ha dato solo alcuni suggerimenti proponendomi di invitare tre pittori e uno scultore. Il clima è così buono e le cose vanno tanto bene che abbiamo rinnovato il contratto per quattro anni”.“
La Rai si fa sentire ogni anno. Mi chiamano ma io non ci vado. Non è una questione di denaro, ma di qualità del proprio lavoro e di piacere per ciò che si fa. Finché lo si può fare”.“Le polemiche più insistenti sul programma hanno riguardato le performances di Vittorio Sgarbi, ma contribuiscono ad elevare l’audience, anche se fino a un certo punto”.“Sono convinto che non si conquista la gente con i picchi di ascolto, ma con la quotidianità. Sarebbe infatti difficile mantenere a lungo alta la tensione: il telespettatore bisogna farlo diventare un abitudinario”.

Fabrizio De Andrè (cantautore, 1982)
“Quella di questi giorni è la mia quarta tournè, ma sarà anche l’ultima. Mi serve il contatto col pubblico ogni tanto per verificare se valgo ancora qualcosa. La risposta pare positiva, ma il mio obiettivo ormai è quello di ritirarmi nella mia azienda agricola Agnata a Santa Teresa di Gallura dove vivo con altre 4 famiglie in una specie di cooperativa. Dieci persone in 130 metri quadrati. Allevo bovini alla ricerca dell’incrocio più produttivo. I soldi guadagnati in tutti questi anni dove li ho messi? Beh, diciamo pure che sono un cattivo amministratore”.“Ho sempre cercato di lavorare in maniera cattolica nel vero senso del termine, in modo serio e anche forse autodistruttivo. Sono uno che preferisce ferire se stesso anziché gli altri. Ma è la musica che è cambiata. Ieri si trattava di seguire una certa moda, oggi un’altra. Non esiste nessun rivoluzionario che non scenda in qualche modo a compromessi”.“Ho sempre usato un linguaggio coerente e serio, anche se a volte mi sono concesso dei passatempi e sono nate canzoni come Marinella. Certo i tempi sono cambiati: oggi mi sarebbe impossibile scrivere di nuovo Il pescatore: un uomo che dà da mangiare ad un assassino. Ma siamo matti? Una canzone così non me la farebbero passare in Rai. Non c’è più spazio per una voce libera”.“Potevo essere anticonformista quando c’era una vera democrazia e mi lasciavano prendere in giro il potere. Gli anticonformisti di oggi sono gli eversivi. Tutti i cantautori sono contrari al conservatorismo, perché in quanto esseri creativi si deve essere memici di chi avversa le novità, ma nessuno di loro suggerisce più modelli di vita da seguire perché ormai la gente non ci sta più. Andava bene vent’anni fa un discorso del genere; oggi può essere pericoloso, e poi siamo tutti vaccinati: non abbiamo bisogno di essere tenuti per mano”.
Dora Moroni (valletta, cantante, 1982)

“Ho ripreso gli spartiti di pianoforte, strumento che avevo iniziato a suonare a sette anni”.“Dopo l’incidente (del 1978, ndr) a parte qualche intervista,
la Rai mi ha dimenticata e con Corrado ho chiuso. In compenso non mi hanno dimenticata le televisioni locali e tanti telespettatori che non hanno mai smesso di scrivermi. Anche i bambini mi chiedono di ritornare in televisione”.

Cristiano De Andrè (cantante, 1982)
“Non è stato papà a mettermi in mano la chitarra, ma i miei amici dei Tempi duri. Mio padre non voleva che scegliessi questa strada perché la riteneva pericolosa per il mio futuro. Invece non mi sono lasciato convincere”.“Non sono un cantautore, ma cerco di dare cose mie”.

Rita Pavone (cantante, 1982)
“La televisione mi sta dando un po’ di spazio con Movie Movie, Mister fantasy e con Come Alice. Ma non basta. A 36 anni, in fondo
la Carrà ne ha 38 e la Goggi 34, è giusto raccontare in modo simpatico e ironico il mio passato di 20 anni sulle scene. Non sono mai stata una grande ballerina, una cantante conosciuta sì”.
Pippo Baudo (presentatore, 1981)
“Come reclutiamo il pubblico di Domenica in? Si va per inviti, rinnovando le liste d’attesa di tre mesi in tre mesi”.“Il sabato proviamo le posizioni, niente di più anche perché sarebbe difficile programmare sei ore di trasmissione non stop. Roberto Gervaso non presenzia mai le prove, si limita a invitare a cena l’ospite che intervisterà il giorno dopo: a spese sue. A parte ciò che si dice è molto generoso”.“Le domande che faccio agli ospiti non sono mai concordate, per dare maggior spontaneità”.“Le sole pressioni che ci fanno vengono dalle case cinematografiche che vedono in Domenica in una vetrina di primo piano”.“No, in questa pubblicità non ci vedo niente di male visto che il settore è in crisi. Diamo dell’attore un’immagine al naturale, anche se questo provoca dei problemi, come con Ornella Muti il cui esordio è naufragato nel silenzio. Diversamente è successo con Laura Antonelli che mi aveva chiesto di parlare solo cinque minuti e poi in ogni spazio vuoto mi chiedeva di intervenire…”

Vittorio Nocenzi, Banco del Mutuo Soccorso (gruppo pop, 1981)
“La poesia, si sa, cambia col mutare dei gusti. Da quando uscì il nostro Di terra artisticamente nulla è cambiato. Tutti i gruppi più grossi hanno fatto i conti con la nuova estetica di comunicazione e noi abbiamo dato più verve alla nostra musica senza creare un prodotto di consumo”. “La sorpresa più piacevole è venuta dal successo estero dov’è difficile rimontare i luoghi comuni che investono i prodotti musicali italiani. A Parigi abbiamo suonato nell’ex macello dalla pessima acustica dove si esibirono anche i Pink Floid e In Germania nelle sale per concerti dove spostano i pannelli a seconda dell’affluenza di pubblico per dare una migliore sonorità”.“Come Banco del mutuo soccorso siamo stati i primi in Italia a sperimentare l’amplificazione di musica attraverso l’immagine , ad utilizzare danzatori e orchestra sinfonica”.
Augusto Daolio, Nomadi (gruppo rock, 1981)
“Riusciamo a garantire continuità al nostro lavoro restando legati alla storia dei Nomadi senza voler strafare e senza inseguire facili virtuosismi. Non rinneghiamo niente, al contrario rimpiangiamo di non aver scritto altre belle canzoni. I giovani forse non lo sanno e quando ci sentono suonare i pezzi di Guccini pensano che ce ne siamo appropriati: in realtà Guccini ci dovrebbe ringraziare per quanto gli abbiamo dato in passato, quando ancora non si parlava di cantautori. D’altra parte anche noi gli dobbiamo molto”.Proprio perché siamo rimasti coerenti con le scelte fatte a sedici anni continuiamo ad affrontare la vita con la stessa politica. Sono scelte chiare che esprimiamo liberamente nei nostri testi.

Riccardo Cocciante (cantautore, 1981)
“Quando sono uscito dal nulla nel ’70 con Mu in me c’era la rabbia di chi vuol fare qualcosa e deve riuscire a farsi sentire. Avevo 22 anni e una forte voglia di esprimermi con la musica imparata da solo. Penso che senza la musica non avrei saputo come aprirmi agli altri. Forse legandomi ad una donna… Poi il tempo, certamente il seguito del pubblico, mi hanno liberato. La musica è lo specchio della propria personalità”.“L’esperienza di gruppo con Rino Gaetano e i New Perigeo è importante. Quando il pubblico si accorgerà della bontà di queste cose finirà per darci ragione. Ai vertici si finisce per isolarsi e purtroppo molti colleghi non se la sentono di rinunciare al proprio individualismo in nome della musica”.“Con Mogol ho lavorato bene, ma non so dire se continueremo; anche perché da qualche tempo sto provando a scrivere da solo le parole per le mie canzoni”.“La filosofia della mia musica è esprimermi completamente con i suoni assimilando sempre forme nuove. Ecco perché collaborare con altri musicisti è fondamentale”.
Alice (cantautrice, 1981)
“Tutti cerchiamo di raggiungere determinati obiettivi: il non riuscirci provoca rabbia. Ecco cosa piace di me. La rabbia che ho accumulato per anni e che butto fuori nelle mie canzoni. Probabilmente in questo sfogo la gente riconosce il proprio desiderio di liberarsi delle angosce e apprezza in me chi vi riesce. Rabbia maturata dall’incomprensione subita per tanto tempo quando venivo considerata solo un bell’oggetto da sfruttare. Non ho potuto emergere prima perché le mie canzoni venivano considerate intellettuali e non piacevano. Mi sono costretta a drastiche scelte in nome della mia libertà di scrivere, finché è avvenuta in me una maturazione personale e musicale. Ora che questa libertà è di moda vengo accettata per quel che sono: prima una persona e poi una donna”.

Rino Gaetano (cantautore, 1981)
“Ho faticato a farmi strada per via del mio cognome che fa così tanto rima con Reitano. Difatti ho iniziato come attore, portando in tournée persino Aspettando Godot. E così come casualmente mi sono avvicinato al teatro, altrettanto casualmente ho scelto la musica cantando canzoncine come si fa a scuola. Ma non mi si dica che i miei testi sono privi di significato! Sono canzoni sensate… abbastanza”.“Non do alcun messaggio. Racconto ciò che penso che la gente stia pensando. Ci sono persone pagate per dare notizie, altre per tenerle nascoste, altre per falsarle. Io non sono pagato per far niente di tutto questo”.
Leo Ferré (cantautore, 1981)
“La musica è nelle strade. Andate a prenderla. Vieni con me Beaudelaire, ti porto in viaggio. La felicità è una rapina”.“Volevo star solo perché la solitudine per l’artista è una pagina aperta. A otto anni per la prima volta mi sono sentito diverso dagli altri bambini: avevo una sensibilità maggiore e me ne sono vergognato. Dell’artista si è sempre riso. Così due anni più tardi al momento di lasciare mia madre per entrare in un collegio a Montecarlo, quando per la prima volta sentii in un caffè quel mostro romantico e fantastico che era la radio, piansi. Suonava la quinta sinfonia. Alla mamma dissi che ero triste di lasciarla, ma pensavo alla grandezza di Beethoven…”“Il luogo comune che vuole l’artista tremante di fronte al foglio bianco è vero. Il lavoro è la mia galera. Scrivo quando ho l’acqua alla gola. Ma che piacere fantastico sentire in sala di incisione prendere vita ciò che ho creato”.“Cosa conta nella vita? L’amore. Il dare. Tutte cose che non si riesce a comunicare”.

Steven Schlaks (pianista compositore 1981)
“Sono stato fortunato nel mio successo. Decisiva è stata l’amicizia con David Hess, il produttore di Elvis Presley con cui ho avuto la fortuna di lavorare. Un giorno David mi propose di scrivere qualcosa per Elvis e così feci. A 17 anni avevo già composto delle canzoni”.“Non ho mai lavorato molto. L’unica volta è stato nella mia fabbrica di elettronica a New York. Per il resto ho sempre suonato”.
Gianna Nannini (cantautrice, 1981)
“I miei mi avevano fatto studiare al conservatorio perché diventassi una bella statuina. Lasciare quel mondo è stato il primo passo verso la mia liberazione: verso le prime canzoni in un locale di Porta Ticinese; verso il lavoro di corista nei Flora, Fauna e Cemento; il tour con Finardi; l’incontro con Vecchioni e con l’America. Devo molto sia ad Eugenio che mi ha permesso di entrare nella dimensione gruppo suonando col suo complesso, sia a Roberto che ha curato i testi dei miei lenti”.“Entrando alla Ricordi ho detto chiaro che avrei lavorato a modo mio. Tutto fila liscio se hanno fiducia in me”.

Enzo Jannacci (cantautore, 1981)
“Paolo Conte si è messo a cantare. Giorgio Gaber fa della satira. In questo universo vuoto qualcuno deve pur esserci, mi sono detto. Ci sarà un posto anche per me”.“E’ un momento in cui si cominciano ad apprezzare i testi. Abbiamo un Dalla, un De Gregori e con loro i ragazzi non ascoltano solo musica, ma parole. L’ideologismo è in aumento. I musicisti veri sono Quelli come …me: un’invenzione. Quelli che credono e sperano nei concerti. Per me che non canto per mangiare, ma per vivere, la musica è una medicina”.“Le mie grandi fortune sono state due: nascere a cavallo della guerra e lavorare con Dario Fo. La prima mi ha arricchito interiormente; le disgrazie che ho visto mi hanno temprato. Ricordo quando tornando dall’America trovai la mia casa a udine distrutta dai bombardamenti. Grazie a Fo ho avuto modo di stare a contatto per nove anni con Moliere. Il Moliere italiano”.“Spero che tu non mi chieda come concilio chitarra e bisturi perché avrei di te che sei di Padova, città che amo e di dov’era una mia fidanzata, una cattiva impressione”.
Eugenio Bennato (cantautore, 1981)
“La nostra Napoli si è fortunatamente scrollata di dosso il luogo comune che la dipingeva patria del bel canto. Oggi la musica di Napoli non è più definita, ce la costruiamo rispetto alla tradizione. La musica che facciamo è popolare, anche se un appassionato di sceneggiate non verrà mai ad ascoltare noi…”“Il giorno di Natale di qualche anno fa si è presentato in casa mia un giovane pastore siciliano. Vorrei suonare con te, mi ha detto. Era Alfio Antico. Il giorno dopo eravamo assieme al teatro S.Ferdinando e lui suonava il tamburello. La stessa cosa è avvenuta per la voce dei Musicanova, Marialuce Cangiano”.“Del mio gruppo piace l’aggressività. E’ un’aggressività che ho in comune con mio fratello Edoardo con cui, contrariamente a quanto i giornali dicono, vado d’accordo e anzi esiste uno scambio di vedute prima dell’uscita di ogni disco, sia mio sia suo”.
Roberto Vecchioni (cantautore, 1980)
“Dalla breve esperienza del carcere per aver offerto uno spinello a un ragazzo è nata Signor giudice. In questa canzone c’è un discorso ironico fatto dai carcerati che si definiscono gente così così, non degni di rispetto”.“Il potere del cantautore? Non è un potere. Può al massimo rafforzare nei giovani sentimenti come rabbia o amore”.“Se dovessi lasciare un ultimo messaggio musicale? Lo rivolgerei a mia figlia che amo molto. Le direi Butta via tutto, non ascoltare chi ti vuol convincere con la forza”.

Paolo Conte (cantautore, 1980)
“Se canto così, e devo dire di essere migliorato rispetto ai primi tempi, è perché non mi piacciono i cantanti che cantano da cantanti. Per questo ammiro Celentano, la Caselli, Jannacci che si esprimono spontaneamente senza rientrare troppo nei canoni di certa musicalità forzata. Ho scritto molto per loro. Molti giovani ai miei spettacoli, sì perché sono più disponibili ad assistere allo sviluppo d un modo di essere di chi sta sul palcoscenico. Se canto così è perché sono entrato nella musica leggera per curiosità, provenendo dal jazz. Canto allo stesso modo di come parlo. Su te cantante non ci facciamo illusioni, mi hanno detto i discografici”.“Non so leggere l’attualità. Il mio è un discorso di identità con un certo passato musicale, non è nostalgia”.“Sono un autore di canzonette. Canzonette rispettabili, s’intende. Cerco di sintetizzare vicende mai autobiografiche di italiani del dopoguerra. Mi piace tanto comporre, lo trovo un fatto di credibilità. Nel cassetto ho un mare di brani…”

Antonello Venditti (cantautore, 1980)
“Vedi, la funzione politica del cantautore è morta. La gente non ha più bisogno di conoscere la realtà che la circonda attraverso quattro canzoni, perché oggi è più matura. Siamo in una fase di ritorno al passato, a prima del 68”.“Ora è ritornata la poesia, l’ironia. Stiamo recuperando la musica come spettacolo. Continuo la mia politica di costume, faccio sempre della provocazione, anche diretta al pubblico. Quando canto Buona domenica che amo molto, riscontro l’ammirazione dei ragazzi che evidentemente vivono la realtà di questa canzone: tentano di divertirsi a tutti i costi senza riuscirci, sono tendenzialmente soli. Mentre negli anni Settanta il ragazzo trovava speranza nell’ideale politico, oggi è deluso, si rifugia nel nuovo divismo dei cantanti, nella spiritualità, affolla le discoteche. Questo è molto triste”.“Credo moltissimo nei rapporti umani, nella buona fede, nella musica naturalmente e nell’infelicità. Dovrei essere felice, non mi manca niente, eppure…” (foto http://www.centocitta.altervista.org)
Antonella Ruggiero (cantante, 1980)
“La nostra (dei Matia Bazar, ndr) è certamente musica di facile ascolto, lo prova che il pubblico più affezionato è quello delle discoteche, tuttavia non per questo non la prendiamo con impegno”.“Dopo Sanremo e l’Eurofestival abbiamo deciso di non prender più parte a competizioni canore, come pure di non fossilizzarci in un genere musicale troppo facile”.

Amanda Lear (cantante, 1980)
“Ho creato io il mio personaggio di donna vampiro un po’ ambigua perché ho capito che il pubblico vuole questo. La gente è stanca della monotonia, vuole scontrarsi con un personaggio affascinante e io le do questa possibilità. Quando si preoccupa di me dimentica i suoi problemi e questo è bene”.“Canto per il pubblico che vuole questo tipo di cantante e che mi proclama regina delle discoteche, anche se questa musica per me, la disco-music a cui ho dato un volto, è abbastanza schifosa. Faccio questo lavoro non per filantropia ma per guadagnare. Così se domani andrà di moda il canto religioso ci sarò anch’io a farlo”.“Com’è nato il mio personaggio? Nel mondo della canzone mancava una donna che non fosse la fotocopia del perbenismo e così ho impersonato la mangiatrice di uomini dal sesso incerto. Chiesi a David Bowie di cantare le mie canzoni, ma lui mi fece capire che potevo interpretarle anche da sola e così ho cominciato, però con un brano di Presley”.“Mi mostro come mi si vuol vedere: posso sembrare schiava del sistema, invece ne sono superiore perché ciò che faccio sono io a deciderlo”. (foto http://www.bigsupereva.com)

Franco Battiato (cantautore, 1980)
“Non ho traguardi, comporre per me è un divertimento, una passione, ma soprattutto un lavoro che mi dà da vivere”.“La mia è una musica che definirei di superficie, vicina alla tappezzeria. Assieme al lato formale però punto ai contenuti nell’ottimizzazione di un testo al servizio della musica e non viceversa”.“Il pop è musica triste, malata. Condivido ancora questo pensiero del ’72. Al pop manca serietà”.“Una volta componevo per me perché mi piaceva, ora lo faccio per il pubblico, mi sono commercializzato. Che c’è di male? La musica a cui sono più legato, gli esperimenti come i vocalizzi li tengo per me, alla gente non piacciono”.
Pooh (gruppo musicale, 1980)
“La chiamate musica di evasione la nostra? Guarda le dita insanguinate a fine concerto (Stefano D’Orazio, ndr)”.“Non siamo alla moda altrimenti dovremmo continuare a proporre Tanta voglia di lei perché il pubblico la gradisce. Facciamo canzoni a sfondo sociale, parliamo di rifiutati, emarginati”.“Il fenomeno Pooh è negativo. Riceviamo migliaia di messaggi dai fans (Dody Battaglia, ndr). Ci fa piacere, ma anche tristezza perché significa che molti giovani non trovano di meglio in cui credere”.

Franco Mussida, Premiata Forneria Marconi (cantautore 1980)
“L’idea di arrangiare per cantautori come De André, Fortis, Nannini, Ron, è nata per scherzo in casa de André in Sardegna. Ne è venuta fuori un’esperienza molto bella perché siamo riusciti a personalizzare la sua musica”.“Lucio Battisti? Sì è della nostra stessa casa discografica, ma non lo vediamo mai perché Lucio fa la spola tra Italia e Inghilterra. Comunque un’eventuale tournée si potrebbe fare se lui ci consentisse di arrangiargli i pezzi”.“Il rapporto musica politica… Dalla grossa esperienza di politicizzazione di qualche anno fa abbiamo visto a che punto di rottura si sia arrivati col pubblico che per partito preso ha assunto una posizione di rifiuto nei confronti del musicista”.
Giorgio Gaslini (pianista jazz, 1980)
“A quali esperienze musicali tendo? A quelle semplici che trovano il loro motivo nel sociale, ma le loro radici nella tradizione jazzistica americana, oltre che in quella popolare antica del nostro paese. Naturalmente sono costantemente aperto agli apporti culturali afro-americani e all’avanguardia”.“La mia politica? Portare la musica a chi non ce l’ha”.

Roberto Benigni (attore, regista, 1980)
“E se Craxi incontrasse Nino Bixio in paradiso, cosa gli direbbe? Anche lei con la ics!”“Chi mi ha lanciato? Lanciato è una parola grossa…Nessuno. Ho iniziato a 19 anni recitando per le campagne fino ad arrivare a Roma. Poi è venuto il monologo che Bernardo Bertolucci mi fece provare”.“L’inno del corpo sciolto? Lo propongo spesso, ma in verità mi fa sempre vergognare un po”. (foto http://www.cinema.castlerock.it)

Pierangelo Bertoli (cantautore, 1980)
“Il potere trascinante di un cantautore non è tale da diventare strumento politico, da indurre cambiamenti sociali; è unicamente un apporto culturale che da solo non basta a far migliorare la società”.“E poi mi sono sentito dire dai dirigenti Rai che la mia presenza a tutto campo sui teleschermi è da evitare, non è molto gradevole, anzi rattrista gli spettatori…”
Ivan Graziani (cantautore, 1980)
“Vorrei raccogliere firme perché anche le presenze concertistiche, al pari di altre merci di scambio sul mercato internazionale, vengano regolamentate. No, non chiedo la chiusura delle frontiere come hanno erroneamente scritto i giornali. Voglio solo che si facciano dei turni prestabiliti per non far occupare la stessa piazza consecutivamente da più stranieri”.”La nostra musica non è inferiore a nessun’altra. E’ la pubblicità che ci fa credere il contrario. Si fa un gran parlare degli stranieri, degli americani, ma non si pensa che non ci hanno insegnato niente perché non hanno inventato niente. Di proprio hanno solo la capacità di sintetizzare le esperienze raccolte qua e là da inglesi, italiani, spagnoli e così via. Il loro tre quarti non è altro che il nostro valzer veloce”.“Io ho imparato a suonare i primi accordi di chitarra da un barbiere, Alfredo di 50 anni. Da noi in Abruzzo le cose vanno così. Gente troppo vicina ai monti e al mare finisce per essere bizzarra e testarda. Così anche i barbieri fanno musica e i grafici come me gli vanno dietro”.

Ron (cantautore, 1980)
“Lucio Dalla mi ha insegnato soprattutto a stare sul palco in modo naturale, fin da quando gli facevo da chitarrista. Mi ha anche insegnato ad evitare i personaggi squallidi che si incontrano nel nostro mondo dietro le quinte. Io gli ho dato più che altro i miei arrangiamenti prima e la musica poi: dalla collaborazione in Com’è profondo il mare a Cosa sarà”.“Francesco De Gregori l’ho incontrato quattro anni dopo e anche lui mi ha dato molto spazio nella musica perché scrive principalmente testi. Due esperienze importanti con due personalità completamente diverse. Il mio sogno sarebbe di fare un concerto con tanta gente. Se Bennato, De André e la Pfm volessero…”
Gianni Agus (attore, 1978)
“Il pubblico viene a teatro per vedere e non solo per criticare. Io critico invece la nuova moda di tanti nuovi registi che rimaneggiano i testi celebri. Se volessero essere davvero originali dovrebbero creare qualcosa di nuovo e non limitarsi a rimaneggiare in modo spesso parodistico, questi testi ritenuti validi dalla critica e dalla pubblica di tutto il mondo”.“Per avere una buona recitazione l’attore deve immedesimarsi nel personaggio annullandosi completamente”.
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