Spia, complottista, dittatore


Hitler, complottista ante litteram. Fin dalla primavera del 1919 a Monaco (quand’era ancora un soldato all’indomani della sconfitta tedesca) frequentava le riunioni dei nazionalisti del Partito Tedesco dei Lavoratori: non per interesse personale, ma come infiltrato dai servizi di Intelligence militare della Repubblica di Weimer. Si fingeva militante politico per riferire ai superiori chi erano i soldati che simpatizzavano per i comunisti (bolscevichi). Solo che quel partito, di comunista aveva solo nel nome il riferimento agli operai, formato com’era da ex combattenti nazionalisti antisemiti e anticomunisti. Le loro idee complottiste e razziste, al trentenne Hitler piacquero al punto che del partito ne divenne non solo aderente con tessera n. 555 (come peraltro volevano i Servizi), ma poi ne risultò l’indiscusso leader. Del Partito Tedesco dei Lavoratori facevano parte veterani che si sentivano due volte sconfitti: in guerra e anche in patria dalla società che, per lasciarsi alle spalle gli anni bui del conflitto e dell’umiliazione, li emarginava cercando nuove formule di giustizia civile e democrazia. Poi c’era chi, nostalgico dell’Impero e quindi nemico della Repubblica, cavalcava l’impotenza di quei reduci che si sentivano risentiti, sconfitti, umiliati e rabbiosi, inducendoli a costituire una forza reazionaria. Ben presto i leader di quel movimento individuarono un facile nemico verso cui scaricare frustrazione e aggressività represse: non potevano certo essere Francia Inghilterra, Russia e Italia che avevano combattuto gli imperi centrali; molto più facile prendersela con una minoranza vicina e disarmata (meno dell’1% della popolazione tedesca), da secoli osteggiata e mal sopportata in Europa come in Russia. Gli ebrei divennero il capro espiatorio di tutti i mali e anche quell’ex caporale austriaco senza arte né parte usò contro di loro la sua convincente dialettica. Hitler si convinse che ebrei e socialisti tedeschi avessero tramato per far perdere all’esercito germanico la prima guerra mondiale. Considerando gli ebrei quelli che dall’interno avevano pugnalato alle spalle la Germania, sposò altrui tesi convincendosi che loro e i vincitori della grande guerra lavoravano insieme per piegare e umiliare la Germania e quindi le forze ariane avevano il dovere di sbarazzarsene. Divenuto capo- popolo questo giovane austriaco (si sentiva figlio dell’Impero germanico) convogliò i sentimenti aggressivi di una minoranza di tedeschi creando una forte retorica che grazie ai soldi dei reazionari che appoggiavano il suo partito personale, riversò in grande stile contro gli ebrei. Il quotidiano Der Stürmer prima e una potente macchina di propaganda poi, fecero il resto, facendo identificare Hitler con lo spirito stesso del popolo tedesco che in lui si riconosceva.   

Parole d’ordine di ieri e di oggi

Nella Germania nazista e pre- nazista di cent’anni fa già si usavano locuzioni che sentiamo presenti anche nella politica italiana dei nostri giorni: partito personale, complotto, parlare alla pancia della gente, populismo, ricerca di un nemico comune, secessione, nazionalismo, estinzione di un popolo, lotta ai migranti, diritti da negare alle minoranze.  

Hitler era un antidemocratico nostalgico dell’Impero, populista e complottista, fondò un partito personale, parlava alla pancia della gente additando quello che voleva diventasse per i tedeschi il nemico numero uno, si batté contro la secessione della Baviera e a favore del nazionalismo della Germania, era contro l’immigrazione e si espresse da subito per la negazione dei diritti delle minoranze (prima) e per la soppressione fisica delle minoranze che considerava inutili o dannose (poi). Quando prese in mano il Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori, Hitler non eliminò quel genitivo (dei Lavoratori), perché il suo obiettivo era aggregare attorno a un forte nazionalismo di destra anche le classi proletarie che inizialmente nel Nazismo credevano di trovare una risposta certamente nazionalista, ma popolare e di ispirazione socialista, capace di far crescere la Germania.

Il primo testo di Hitler contro gli ebrei

Prima di iscriversi al Partito Tedesco dei Lavoratori, nel settembre del ’19 dopo aver conosciuto un antisemita del partito – Dietrich Exkart Hitler scrisse il suo primo testo contro gli ebrei: una lettera battuta a macchina, contenente errori e da lui autografata, inviata al suo ufficiale superiore, Adolf Gemlich, capo della propaganda dell’esercito tedesco.

Analizzando i concetti espressi nella lettera emergono alcuni punti. 1) Da subito Hitler ritiene che l’avversione agli ebrei sia largamente diffusa nella popolazione tedesca. 2) Dice che se molti tedeschi sono critici verso gli ebrei non è perché gli riconoscano la loro reale pericolosità per la nazione, ma perché nei rapporti personali gli ebrei risultano quasi sempre sgradevoli. 3) Considerazioni queste, che secondo lui fanno dell’antisemitismo un fenomeno esclusivamente ed erroneamente emotivo; per trasformarlo in ideologia e movimento politico, va motivato secondo i fatti che elenca: l’ebraismo non è un’associazione religiosa, ma una razza; gli ebrei non si autodefiniscono mai come ebrei appartenenti a una data popolazione, ma si sentono innanzitutto parte di quel popolo e in seconda battuta ebrei. 4) Come qualunque altro straniero che vive in Germania e deve imparare il tedesco, anche per l’ebreo l’apprendimento della lingua non ne fa automaticamente un tedesco. 5) Che per migliaia di anni non si siano mescolati (geneticamente) ad altri popoli, secondo Hitler ne ha fatto un popolo dalle caratteristiche molto distinte da quelle di chi si è invece mescolato: li definisce alieni tra i tedeschi, non disposti (e incapaci) a sacrificare il loro carattere razziale o negare sentimento, pensiero o impegno. In questo passaggio il futuro dittatore implicitamente dice che in quanto popolo straniero, per integrarsi dovrebbe mettere da parte i propri sentimenti, le proprie idee e il modo di essere. 6) Un popolo siffatto, secondo lui, ha tuttavia gli stessi diritti politici dei tedeschi. 7) Il modello di vita degli ebrei lo si vede nelle cose materiali, ma più ancora nel loro pensiero e negli atti. Dice che inseguono la ricchezza e ciò sta diventando una lotta diretta con i tedeschi per ottenere i beni che tutti agognano di più nella vita. Per Hitler gli ebrei valutano il valore degli individui in base ai loro averi. Il loro desiderio di ricchezza e potere, prosegue Hitler, ne fa esseri spietati e senza scrupoli. Nelle monarchie diventano sanguisughe del potere e nelle democrazie si assoggettano al popolo (venerando il denaro). 8) Sono adulatori dei potenti e nemici dell’orgoglio nazionale attraverso una depravata educazione,agendo sulla “maggioranza silenziosa”, prestando denaro a usura e trasformando ogni cosa nobile (religione, socialismo, democrazia) in denaro e potere, per cui determinano una tubercolosi razziale delle nazioni. 9) Hitler alla fine conclude che basare l’antisemitismo su motivi puramente emotivi troverà la sua massima espressione nella forma del pogrom (persecuzione di minoranze etniche o religiose). Un antisemitismo basato sulla ragione invece deve portare a una sistematica lotta legale e a una legge speciale che elimini i privilegi degli ebrei rispetto agli altri stranieri che vivono in mezzo a noi. L’obiettivo deve, tuttavia, essere l’irrevocabile rimozione degli ebrei in generale. Per entrambi questi fini è necessario un governo di forza nazionale, non di debolezza nazionale. 10) Per una Germania migliore servirà una rinascita morale e spirituale, che per realizzarsi richiede invece l’installazione spietata di leadership di mentalità nazionale con un senso interiore di responsabilità. Tuttavia, conclude Hitler, il cambiamento non si realizzerà fintanto che gli odierni capi di stato devono cercare appoggio tra quanti sono stati il motore della rivoluzione: gli ebrei. Anche se i leader di oggi si sono pienamente resi conto del pericolo degli ebrei, essi hanno accettato il sostegno prontamente offerto dagli ebrei e hanno anche restituito il favore. E questo compenso consisteva non solo in ogni possibile favore dell’ebraismo, ma soprattutto nell’ostacolo alla lotta del popolo tradito contro i suoi frodatori, cioè nella repressione del movimento antisemita.

Questa ideologia fu espressa nel 1919, tre anni prima che Mussolini salisse al potere e 14 anni prima che lo facesse il Nazismo istituendo il Terzo Reich. Una bella docuserie su Netflix – Processo al male. Hitler e i nazisti spiega bene questo fenomeno, anche con video e audio originali (e a colori) del Processo di Norimberga e con reportage e memorie dell’inviato americano del Chicago Tribune a Berlino e Vienna William Shirer durante il nazismo.

La lettera a Gemlich

Monaco, 16. Settembre1919

Stimato Signor Gemlich,

Il pericolo rappresentato dagli ebrei per il nostro popolo oggi trova espressione nell’innegabile avversione di ampi strati del nostro popolo. La causa di questa avversione non va ricercata in un chiaro riconoscimento dell’effetto consciamente o inconsciamente sistematico e pernicioso degli ebrei come totalità sulla nostra nazione. Nasce piuttosto per lo più dal contatto personale e dall’impressione personale che il singolo ebreo lascia quasi sempre sfavorevole. Per questo motivo, l’antisemitismo è troppo facilmente caratterizzato come un mero fenomeno emotivo. Eppure questo non è corretto. L’antisemitismo come movimento politico non può essere definito da impulsi emotivi, ma dal riconoscimento dei fatti. I fatti sono questi: primo, l’ebraismo è assolutamente una razza e non un’associazione religiosa. Anche gli ebrei non si definiscono mai come ebrei Tedeschi, ebrei Polacchi o ebrei Americani, ma sempre come tedeschi, polacchi o americani Ebrei. Gli ebrei non hanno mai adottato molto di più della lingua delle nazioni straniere tra le quali vivono. Un tedesco che è costretto ad usare la lingua francese in Francia, l’italiano in Italia, il cinese in Cina non diventa per questo francese, italiano o cinese. È lo stesso con l’ebreo che vive in mezzo a noi ed è costretto a servirsi della lingua tedesca. Non diventa così un tedesco. Né la fede in Mosé, così importante per la sopravvivenza di questa razza, risolve la questione se qualcuno sia ebreo o non ebreo. Difficilmente esiste una razza i cui membri appartengano esclusivamente a una sola religione definita.

Attraverso migliaia di anni di incroci consanguinei, gli ebrei in generale hanno mantenuto la loro razza e le loro peculiarità molto più distintamente di molti dei popoli tra i quali hanno vissuto. E da qui deriva il fatto che vive tra noi una razza aliena non tedesca che non vuole né può sacrificare il suo carattere razziale o negare il suo sentimento, pensiero e impegno. Tuttavia, possiede tutti i diritti politici che abbiamo noi. Se l’ethos degli ebrei si rivela nel regno puramente materiale, è ancora più chiaro nel loro pensiero e impegno. La loro danza intorno al vitello d’oro sta diventando una lotta spietata per tutti quei beni che apprezziamo di più sulla terra.

Il valore dell’individuo non è più deciso dal suo carattere o dall’importanza delle sue conquiste per la totalità, ma esclusivamente dall’entità della sua fortuna, dal suo denaro.

L’altezza di una nazione non si misura più dalla somma delle sue forze morali e spirituali, ma piuttosto dalla ricchezza dei suoi beni materiali.

Questo pensare e lottare per il denaro e il potere, e i sentimenti che ne derivano, servono agli scopi dell’ebreo che è senza scrupoli nella scelta dei metodi e spietato nel loro impiego. Negli stati governati in modo autocratico si lamenta per il favore di “Sua Maestà” e ne abusa come una sanguisuga attaccata alle nazioni. Nelle democrazie gareggia per il favore delle masse, si fa piccolo davanti alla “maestà del popolo” e riconosce solo la maestà del denaro.

Distrugge il carattere dei principi con l’adulazione bizantina, l’orgoglio nazionale (la forza di un popolo), con il ridicolo e l’educazione spudorata alla depravazione. Il suo metodo di battaglia è quell’opinione pubblica che non si esprime mai sulla stampa che ne è comunque gestita e falsificata. Il suo potere è il potere del denaro, che si moltiplica nelle sue mani senza sforzo e all’infinito attraverso l’interesse, e che costringe i popoli sotto il più pericoloso dei gioghi. Il suo scintillio dorato, così attraente all’inizio, nasconde le tragiche conseguenze finali. Tutto ciò che gli uomini perseguono come un obiettivo più alto, sia esso religione, socialismo, democrazia, per l’ebreo significa solo un fine, il modo per soddisfare la sua brama di oro e dominio.

Nei suoi effetti e conseguenze è come una tubercolosi razziale delle nazioni.

La deduzione da tutto ciò è la seguente: un antisemitismo basato su motivi puramente emotivi troverà la sua massima espressione nella forma del pogrom. Un antisemitismo basato sulla ragione, però, deve portare a una sistematica lotta legale e all’eliminazione dei privilegi degli ebrei, ciò che distingue gli ebrei dagli altri stranieri che vivono in mezzo a noi (una legge sugli stranieri). L’obiettivo ultimo [di tale legislazione] deve, tuttavia, essere l’irrevocabile rimozione degli ebrei in generale. Per entrambi questi fini è necessario un governo di forza nazionale, non di debolezza nazionale.

La Repubblica in Germania deve la sua nascita non all’uniforme volontà nazionale del nostro popolo, ma all’astuta strumentalizzazione di una serie di circostanze che trovarono espressione generale in un profondo, universale malcontento. Queste circostanze tuttavia erano indipendenti dalla forma dello stato e sono ancora operative oggi. Anzi, ora più che prima. Pertanto, gran parte della nostra gente riconosce che una forma di stato modificata non può di per sé cambiare la nostra situazione. Per questo ci vorrà una rinascita dei poteri morali e spirituali della nazione.

E questa rinascita non può essere avviata da una leadership statale di maggioranze irresponsabili, influenzate da certi dogmi di partito, da una stampa irresponsabile o da frasi e slogan internazionalisti. [Richiede] invece l’installazione spietata di personalità di leadership di mentalità nazionale con un senso interiore di responsabilità.

Ma questi fatti negano alla Repubblica l’indispensabile sostegno interno delle forze spirituali della nazione. E così gli odierni capi di stato sono costretti a cercare appoggio tra coloro che traggono i benefici esclusivi dalla nuova formazione delle condizioni tedesche, e che per questo sono stati il motore della rivoluzione: gli ebrei. Anche se (come rivelano varie dichiarazioni delle personalità di spicco) i leader di oggi si sono pienamente resi conto del pericolo degli ebrei, essi (cercando il proprio vantaggio) hanno accettato il sostegno prontamente offerto dagli ebrei e hanno anche restituito il favore. E questo compenso consisteva non solo in ogni possibile favore dell’ebraismo, ma soprattutto nell’ostacolo alla lotta del popolo tradito contro i suoi frodatori, cioè nella repressione del movimento antisemita.

Rispettosamente, Adolf Hitler

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