Il Kamasutra dei Veneti in mostra


Kamasutra veneto copiaAnno 440 a.C.. I cavalli veneti vincono l’Olimpiade

Anno 440 avanti Cristo. A Olimpia nell’85^ Olimpiade, Leonte di Sparta vince la corsa equestre con due cavalli veneti, di proprietà di suo padre Anticlide: lo ricorda Euripide nella tragedia Ippolito, rappresentata in prima assoluta ad Atene nel 428 a.C.. Nel 390 a.C. il tiranno di Siracusa Dionigi il Grande inizia ad importare dal Veneto questi veloci destrieri per rimpinguare di cavalli da corsa la sua scuderia siciliana, che vuole rendere celebre nel mondo vincendo le gare ippiche internazionali (riferisce il geografo greco Strabone). Il signore della Magna Grecia è molto interessato ai mercati di Veneto e Dalmazia, territori in cui insedia numerose colonie, fondando nuovamente la città di Adria (Ro) e facendo scavare tra Rovigo e le Botti Barbarighe (o forse da Trecenta all’Adriatico) la fossa Philistina (in onore di Philisto, generale e storico siracusano esiliato ad Adria nel 386 a.C.) collegandola alla laguna dove ancora non esiste Venezia (l’isola di Pellestrina deve il nome a Philisto), ma solo vie lacustri di collegamento con Altino (58 km in linea d’aria), la città che assieme a Padova conta i migliori allevamenti di cavalli (non belli, ma veloci), citati molto tempo prima dal geografo Ecateo di Mileto (550- 476 a.C.), famoso per aver disegnato la rotondità della Terra. Per i Veneti antichi il cavallo è così importante da realizzare diverse eleganti sepolture per questi animali che chiamano EKVO.Foto_11

Da oltre 900 anni i Greci commerciano attivamente con i popoli che si definiscono Venetkens, parlano una strana lingua e vivono alla fine del mare Iónios kólpos (Adriatico), in quella parte più a nord chiamata Adrías. La loro scrittura non ha la lettera f e invece, a differenza dell’Etrusco da cui deriva, ha la o. Più tardi lo storico greco Polibio (nato a Megalopoli nel Peloponneso nel 206 a.C.) dirà che i Veneti vestivano come i Celti, ma parlavano diversamente: il loro alfabeto deriva infatti da quello degli Etruschi ed è quindi più simile al latino che al greco o al celtico. E come gli Etruschi i Veneti leggono da destra a sinistra e mettono accanto al proprio nome l’ascendenza (figlio di…).

La cultura venetica nasce prima del 1.000 a.C. estendendosi dal Po al Tagliamento e su fino alla Pedemontana. Secondo le moderne teorie il nome Veneti deriverebbe dalla radice indoeuropea wen che significa unire, legare. Non sarebbero imparentati con gli Eneti greci e nemmeno con i Veneti del centro Europa o della Francia occidentale di cui parlerà più tardi Giulio Cesare nel De Bello Gallico.

Aristotele e le galline di Adria

Fin dal 1.400 a.C. le città di Argo e Micene commerciano con Altino (madre della futura Venezia) che si sporge sulla laguna veneta. I Greci apprezzano tutto il territorio costiero che dal Monte Conero (An) sale fino ad Altino, perché qui si trovano terre fertili molto prospere e ci sono uomini e animali estremamente prolifici: Il bestiame partorisce anche tre volte all’anno e le donne raramente danno alla luce un figlio solo, ma gran parte di esse ne mette al mondo due o tre scrivono i Greci.

Il filosofo scienziato Aristotele (384 – 322 a.C.) si spinge oltre nei dettagli: Le galline di Adria sono molto prolifiche, infatti nonostante la loro piccola taglia, assimilano il cibo per procreare. Le galline di Adria sono piccole per dimensione, ma fanno un uovo al giorno.

E circa il clima, lo storico greco Teopompo di Chio (380 – 320 a.C.) dice che nel Veneto è costantemente umido dappertutto; vi sono facili perturbazioni improvvise, soprattutto in estate, con fortunali e fulmini e si hanno i cosiddetti tifoni.

Foto_1Frattesina, grande emporio internazionale

Ma i Greci che s’interessano tanto di questi luoghi non hanno intenti di conquista: risalgono l’Adriatico fermandosi abitualmente alle foci del Po e risalendo il fiume per diversi km fino a Frattesina di Fratta Polesine (Ro) (nei tempi moderni il braccio del Po si è prosciugato) che è il grande spaccio dove comprano la preziosa ambra del mar Baltico per i loro monili e molti prodotti dell’artigianato polesano.

L’ambra arriva dal nord Europa su barconi lungo il Danubio e poi coi carri entra nella penisola, attraversa il territorio dei Veneti fino a questo approdo comodo per i compratori del Mediterraneo, che qui acquistano anche cavalli, sale, legname, abiti in lana, resina magica per i loro riti, metalli, ossa di cervi lavorate, vetro. Ai Greci piacciono le opere artigianali di questa gente che lavora l’ambra e il vetro colorato e produce oggetti in bronzo con manici in osso e in corno. Qui gli artigiani modellano finemente anche il materiale comprato dai mercanti greci che vendono soprattutto avorio e uova di struzzo di provenienza africana, oltre che splendidi vasi decorati, spezie e oggettistica femminile di derivazione egizia, che per i Veneti costituiscono un autentico status symbol.

I Veneti non confessano ai compratori che l’ambra non è roba loro, e i Greci si convincono che le strane terre paludose della laguna veneta diano origine alla preziosa pietra gialla trasparente che spesso include magicamente degli insetti e che loro chiamano élektron. L’ambra per loro nasce da lì e dalle terre ancor più strane, ricche di fango e acqua che ribolle: bacino termale di Abano, Montegrotto, Galzignano e Battaglia, dove i greci pensano sia precipitato Fetonte figlio del dio Apollo.

Ma ai mercati veneti accedono costantemente anche gli Etruschi che si spingono molto più a nord fino ad Altino, da Ravenna, tagliando la laguna; e i pugliesi (Apuli) che qui cercano minerali e ambra e vendono vasi della Daunia. La ceramica è presente nel Veneto orientale fin dal 5.000 a.C. quando qui si facevano vasi in terracotta finemente decorati, mentre la ruota del vasaio si diffonde dal V secolo a.C..Nella foto un pettine in avorio africano portato dai Greci e lavorato a Frattesina.

Le 50 città venete

Nell’età del Ferro (dal 1200 a.C. in giù), Padova e Este sono le capitali della regione che conta già una cinquantina di città: Gazzo Veronese, Montorio Veronese, Altino, Oppeano, Concordia Sagittaria, Oderzo, Montebelluna e Adria sono importanti tanto quanto Vicenza e Treviso. Padova, Este e Oppeano ad esempio sono estese oltre 100 ettari. Già nel IX a.C. a Oderzo ci sono case con focolari, cortili e tetti spioventi palificati; e nel centro di Padova sono presenti ampie case “signorili” a pianta rettangolare e fondazioni in legno, posizionate lungo i sentieri e i corsi d’acqua secondo un’urbanistica disegnata dai responsabili della comunità.

Nel VI secolo a.C. queste città hanno vie d’accesso fluviali con argini rinforzati da palizzate anti esondazione, e porti dove approdano facilmente anche le navi dei mercanti esteri. La vita scorre lenta, ma operosa, con le botteghe artigianali sempre attive e le rumorose e inquinanti fornaci sistemate lontano dal centro abitato, vicino al fiume attorno a cui si sviluppa la rete delle vie urbane perpendicolari tra loro, in terra battuta o ghiaia, che terminano alle estremità con cippi in pietra incisa ad indicare i confini cittadini. Fuori città, in posizioni ritenute magiche, sorgono i luoghi di preghiera dove si va a chiedere la grazia alle divinità; ma c’è anche la città dei morti. Oltre ecco i campi coltivati e i primi pascoli al confine con i fitti boschi che riempiono tutta la pianura: importanti per far legna e per cacciare. Non è raro che alla città si avvicinino cervi e caprioli, cinghiali e lupi, mentre gli orsi popolano le montagne.

Dentro la città le abitazioni sono unite in gruppi e hanno accanto grandi spazi scoperti. Hanno cortili, orti e canalette in cui scorre l’acqua piovana e quella di scolo che finisce nel fiume. Le scarse immondizie accumulate vengono gettate fuori casa o nei vicini fossati.

Case in pietra, legno e paglia

La casa di pianura dei Veneti è fatta di palizzate alle pareti, colmate con canne, argilla, limo, cenere. I più ricchi usano mattoncini di argilla cruda o limo scottato; tutti i tetti sono di paglia e rami intrecciati e legati, il pavimento è in argilla battuta (a volte composta con l’eccedenza di quella delle pareti) e le fondazioni sono fatte di pali o di pietre di fiume. La casa è ad uno o due vani fino al VI secolo a.C. quando, col benessere portato dai traffici, comincia ad allargarsi un po’. Chi custodisce il focolare, sempre al centro della stanza, è la donna, che non si limita a seguire figli e faccende di casa, ma lavora sempre al telaio. Il fuoco è il cuore della vita domestica e le famiglie più agiate dispongono di una coppia di eleganti alari che terminano con la testa di ariete: alari che reggono spiedi e ceppi. La disposizione della casa signorile attorno al cortile centrale, è di derivazione etrusca. Sopra l’uscio c’è quasi sempre una tettoia per ripararsi dalla pioggia, anche perché inserire le enormi chiavi nella toppa è un’avventura.

Dentro casa ci sono pochi suppellettili lignei: tavolo, giacigli, panche e ripiani. E più la famiglia è ricca, più possiede vasi o vasche coperte per il cibo. Oltre a pentole, pentoloni e olle per i liquidi di uso frequente, la famiglia usa tazze, bicchieri, scodelle, mestoli, coltelli e cucchiai di legno e il vassoio ceramico per i lumini.

La casa degli dei

Fuori dalla città, dentro un bosco sacro e sempre vicino a un corso d’acqua o a sorgenti termali, sorge il santuario cinto da cippi votivi. Qui è possibile assistere ai riti di sacrificio di animali agli dei, i quali accettano volentieri anche offerte di carni, focacce e verdure coltivate; e statuine e lamine di bronzo che riproducono le offerte di chi viene a chiedere particolari grazie. Visto che le preghiere collettive richiamano anche genti lontane, è giusto che accanto al santuario ci sia di che rifocillarsi e anche qualcosa da comperare: animali, vestiti, ceramiche, ecc.

La disposizione interna del tempio somiglia a quello etrusco, ma tra loro i santuari veneti non sono uguali. Quello di Altino di fine VI secolo a.C., ricorda la struttura del chiostro: si entra nell’edificio rettangolare da due porte che si fronteggiano sui lati lunghi e che immettono nel portico pavimentato e rivestito di legno. Dal portico si accede al cortile senza tetto, dove stanno due altari in linea con gli ingressi dei locali che si fronteggiano sui lati corti del porticato, usato per contenere i fedeli e le loro offerte. Sul lato est parte una strada che conduce al porto fluviale e al centro città. Nel campo adiacente l’area sacra vengono sepolte le offerte, gli avanzi e i resti dei cavalli (una ventina) sacrificati al dio Altino.

Foto_12Uomini e donne imparano a scrivere

Inizi del VI secolo a.C.. Gli Etruschi di Chiusi (Si) arrivano nel Veneto spinti da intenti commerciali. Portano con sé i loro esempi di scrittura che dopo 50 anni cambierà con nuove varianti originarie di Cerveteri (Roma). I Veneti apprendono tutto e adattano a loro piacimento quei segni che vengono insegnati a uomini e donne di buona volontà, nelle scuole di scrittura insediate presso i santuari, come quello dedicato alla dea Reitia a Este dove si conservano gli alfabetari che insegnano a formare le sillabe. Si scrive praticamente su tutto (lamine di bronzo, ceramiche, gioielli, oggetti d’osso, pietre) usando uno stilo in bronzo o qualsiasi oggetto appuntito. Ogni territorio del Veneto personalizza la grafia imparata.

Foto_2L’artigianato

Nel centro di Padova nel VII secolo a.C. ci sono molte aree che da residenziali diventano produttive: tra le attuali piazza Castello e l’Università e lungo il Bacchiglione sorgono molte fornaci, mentre tra l’Università e la questura nel secolo successivo ci sono le prime fonderie. Nelle città il lavoro si svolge in aree artigianali esterne, ma possono anche esistere case- laboratorio per attività limitate e domestiche, come la lavorazione delle ossa di cervo.

Foto_6La città dei morti

Sempre fuori città e sempre oltre il fiume, si trova la necropoli delimitata da grandi cippi. Le salme riposano sotto tumuli recintati da pietre (a Este) e da legno (a Padova) e stanno in tumuli collettivi di famiglia, circolari e non, di varie altezze, con al centro i capostipiti. A Este c’è una tomba che misura 70 mq. Se alla tomba più importante (quasi monumentale) si accede da un sentiero, tra le tombe si cammina lungo curati e precisi sentieri più o meno grandi. Mentre in passato i morti venivano inumati, in quest’epoca si preferisce la cremazione. Spesso, quando muore un parente del defunto, si usa confondere le sue ceneri con quelle di chi l’ha preceduto: dentro cassette di legno o di pietra o dentro grandi vasi in terracotta, con sempre accanto un corredo per la vita oltreterrena. Vige la pratica di spegnere la pira prima che bruci totalmente il cadavere, per lavare alcune ossa rimaste e metterle in un ossuario: di ceramica per la gente comune e di bronzo per chi conta. Le ossa vengono avvolte in panni secondo la moda etrusca acquisita dagli Euboi, con accanto accessori d’abbigliamento.

DSCN5905 copiaIn montagna

Le Alpi nel VI secolo a.C. sono il confine naturale che protegge i Veneti dai Reti e dai Celti. Ma appena al di sotto dei monti ci sono ampi pascoli di pecore famose per le loro apprezzate lane; ci sono le coltivazioni di vite, cereali, frutta e legumi. E miniere.

Nella Pedemontana la casa dei Veneti è diversa da quella di città perché è seminterrata e ha un fondo di blocchi di pietre congiunte a secco, pareti di palizzate o canne e graticci, tetto spiovente coperto di rami intrecciati e paglia, con pavimento in argilla battuta e focolare al centro. In alcune stanze ci sono intonaci decorati. Nel V secolo a.C. cominciano a insediarsi qui anche stranieri del nord: commercianti, spose, mercenari.

Sopra Schio (Vi), in vetta al monte Summano sorge un santuario all’interno del cui recinto sacro si effettuano molti sacrifici agli dei. Questo come gli altri santuari della regione, è usato come mercato per commerciare con Reti e Celti che scendono a valle.

Foto_4La mostra sui Venetkens

Al Palazzo della Ragione di Padova, fino al 17 novembre 2013 nella mostra Venetkens Viaggio nella terra dei Veneti antichi si entra in contatto con questo mondo lontano. 1.700 oggetti giunti da 50 musei italiani e sloveni testimoniano mille anni di storia. E’ la prima mostra dedicata al popolo dei Veneti ed è voluta da Comune di Padova, Sovrintendenza per i Beni archeologici del Veneto e Ministero per i Beni Culturali. In 14 sezioni è riassunta la vita sociale di questi antenati prima dell’arrivo dei Romani. Ecco qualcuna delle suggestioni dell’esposizione dedicata a questo popolo che per la prima volta si chiamò così in una iscrizione trovata a Isola Vicentina.

DSCN5910 copiaIl Kamasutra dei Veneti

Spero che trovi una collocazione in un importante museo, perché si tratta di un pezzo unico nel suo genere, ancora mai visto dal pubblico perché rimasto per 12 anni a disposizione di chi lo sta studiando dice il sovrintendente del Veneto Vincenzo Tiné a proposito della situla dell’Alpago, una secchia in bronzo del VI secolo a.C. che rappresenta 5 amplessi tra un uomo e una donna (uno solo dei quali compiuto su un giaciglio) e una scena finale di parto in piedi, unica nella storia delle situle. La situla è stata trovata a Pian dell’Agnela a circa 1.000 metri di quota in una fornitissima necropoli. Questo contenitore dell’Alpago è stato usato per alcune generazioni per portare a tavola 5 litri e mezzo d’acqua. Il suo prolungato uso l’ha danneggiato richiedendo restauri da parte degli artigiani dell’antichità. Nella foto la replica (sopra l’originale) e, nella prima foto in alto, la riproduzione grafica delle scene di sesso.

La tradizione delle situle in bronzo sbalzato è stata appresa dagli artigiani dello sbalzo di Bologna che si trasferiscono a Este e qui insegnano questa decorazione appresa dagli Etruschi.

Il tesoro del fabbro

A Montereale Valcellina (Pn) è stato trovato un tesoretto di lingottini di bronzo pronti per la lavorazione, dentro un dolio del V secolo a.C. rinvenuto in un laboratorio abbandonato dentro una casa probabilmente importante, perché intonacata.

La spada più antica del Veneto

Da Montebello Vicentino viene la spada più antica, con gancio e cinturone, risalente al IV a.C..

Statuette d’argento ex voto

Il santuario del Monte Summano (Vi) ha restituito resine usate per profumare l’ambiente e per aromatizzare il vino, e molti oggetti votivi, tra cui due splendide statuine d’argento, autentiche opere di oreficeria del II a.C., raffiguranti Marte e la Grande Madre.

Chiavi per nulla tascabili

Una chiave per una porta di casa montanara non la si teneva facilmente addosso in quell’epoca, come dimostra l’enorme esemplare rinvenuto a Bostel di Rotzo (Vi).

Laboratorio del vasaio

E’ stato trovato integrale il laboratorio di un vasaio di Montebello Vicentino abbandonato nel V a.C. forse perché in fuga davanti ai Romani che i popoli di montagna non accolsero volentieri (diversamente dai Veneti di pianura). In mostra anche un blocco di sabbia pronto per essere lavorato per farne una novantina di coppette.

DSCN5913 copiaLa situla Benvenuti

In mostra anche il pezzo forte del Museo nazionale di Este, la situla Benvenuti del VII a.C., usata come ossuario di una bambina nobile di 3 anni. Probabilmente era appartenuto al padre e al nonno della piccola. Il cappello a larghe tese portato dagli uomini raffigurati, ne indicano l’elevato lignaggio.

Le tombe dei cavalli

Due importanti tombe di cavalli rinvenute a Padova nella necropoli di via S. Massimo, indicano nelle dimensioni (20 metri) l’importanza data a questi animali sepolti con le loro ricche bardature. Con loro anche un uomo con le gambe legate (VI a.C.).

Chiave con pendagli

Una chiave halstattiata della seconda metà del VII a.C. è stata trovata a Trichiana (Bl). Tra le particolarità, oltre alle dimensioni, i sei pendagli.

DSCN5903 copiaIl potere al femminile

In molte iscrizioni relative a sepolture femminili appaiono bastone, ascia e trono che sono simboli del potere; indicano che non era raro che la donna se lo vedesse attribuire. Nella foto un contenitore.

4 risposte a “Il Kamasutra dei Veneti in mostra

  1. Buon giorno, devo fare due correzioni in merito all’interessante articolo: il nome della località del ritrovamento della “Situla dell’Alpago” è mal scritto, infatti è Pian dell’Agnela e non de la Gnela; la foto del particolare è della Situla Benvenuti e non dell’Alpago.

  2. Buongiorno, ho visto la mostra giusto l’altro ieri, e ne sono rimasta entusiasta… Cercando informazioni in rete ho trovato questo articolo, complimenti! Molto esauriente e ben fatto!

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