Dalla parte sbagliata


Un golpe nello stomaco

 

Quanto si può essere imbecilli da ragazzi! Sempre che non lo si rimanga anche da adulti…  Avevo 16 anni quando dalla tv in bianco e nero appresi che il governo marxista cileno, democraticamente eletto, era stato schiacciato da un golpe militare (golpe in spagnolo si traduce colpo). Era l’11 settembre 1973 e mi trovavo ancora in vacanza ad Asiago, allora le scuole riprendevano a ottobre… Lo sgomento dei giornalisti dei due tg Rai (i soli canali esistenti) non mi colpiva, anzi ero contento che un regime di destra avesse preso il potere: pur non essendo mai stato favorevole alla violenza, l’ideologia che al tempo mi affascinava non mi faceva impietosire vedendo in tv quei giovani trascinati per strada dai militari armati di mitra, né mi stupivano le incredibili riprese di centinaia di uomini e donne sequestrati dall’esercito e tenuti per giorni nello stadio di Santiago del Cile per gli interrogatori. Il luogo dello sport e del divertimento, improvvisamente trasformato in un colossale carcere a cielo aperto da cui nessuno poteva fuggire… Come non potevano fuggire milioni di cittadini tenuti in ostaggio da uno spietato regime foraggiato dagli americani e durato 16 anni.

Ci ho ripensato oggi, rivedendo con sofferenza le scene di quella impari resa dei conti che fece circa 40.000 morti, trucidati dall’esercito e dalla polizia, ossia da chi per giuramento e contratto avrebbe dovuto proteggere il popolo cileno. Raistoria ha mandato in onda il bellissimo documentario di Nanni Moretti Santiago, Italia, del 2018, in cui molte testimonianze ricordano anche l’ospitalità offerta dall’ambasciata italiana a 750 perseguitati politici e l’accoglienza fraterna che i rifugiati cileni trovarono più tardi nel nostro Paese. Altra Italia rispetto ad oggi, lo riconosce con tristezza nel video qualcuno dei protagonisti di allora…

Ripensando a ieri e a oggi provo vergogna per me, ragazzo del Novecento, e per tanti italiani del Duemila. Per me che a 16 anni credevo che il senso della civiltà di un popolo dipendesse solo da roboanti parole – rispetto, grandezza della nazione – per gli altri che come valori hanno il rifiuto della solidarietà, a prescindere e come credo il classico binomio Dio e Patria che tutti i fascismi hanno sempre issato come vessillo. La mia vergogna personale si riferisce all’indifferenza per la vigliaccheria dei forti che hanno catturato, torturato, ucciso (si è saputo non molto tempo dopo) non soltanto i sogni, ma le vite di tanti giovani. Avevo difeso i violenti anziché gli oppressi, senza capire che chi imbraccia un mitra contro il suo stesso popolo ha già assassinato la propria di umanità. Andavo a messa, all’epoca, mi ritenevo un buon cristiano eppure ero silenziosamente solidale con chi macellava quella generazione di ragazzi poco più grandi di me. Ho riprovato molta vergogna per allora, tanto più sentendo le testimonianze degli scampati, delle donne denudate e torturate per il sadismo degli aguzzini; ascoltando lo choc dei giovani di allora, tenuti per giorni imprigionati senza mangiare in attesa di diventare loro il pasto dei torturatori; vedendo l’emozione di chi, da sempre anticlericale, ricordava in lacrime il cardinale Raul Silva Henriquez che per quei poveretti tanto si era prodigato contro tutto e tutti. Come ho potuto fare il tifo per gli assassini e non per le vittime, secondo quell’insana forma di partigianeria che quando si scatena una guerra civile finisce per diventare contagiosa facendoti stare da una parte o dall’altra? Penso non sia questione di età o di immaturità: è proprio uno stato dell’animo o della ragione che ti fa prendere posto nella curva nord o in quella sud.

A quanti sempre obiettano Parlate anche dei gulag di Stalin o delle foibe di Tito e non solo dei lager di Hitler, rispondo che è vero, non c’è dittatura che non abbia prodotto orrori, a destra come a sinistra. L’importante è non giustificarle mai perché ogni ideologia che nega la libertà è indifendibile: il fine è sempre arricchire i poteri economici che alimentano il dittatore di turno fintanto che serve e poi lo abbattono, in uno spietato gioco al massacro collettivo che ogni volta riesce a illudere le masse in cerca del grande leader.  Video trailer Santiago, Italia

 

 

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